- Nel sottofondo c’è la strisciante accusa di “fascismo eterno” nei confronti del nostro paese, accentuata dall’ascesa al potere della destra. Ma dimenticando una fetta non proprio edificante della storia d’Oltralpe.
- Negli anni Settanta i francesi ci equiparavano grosso modo a una dittatura sudamericana per i processi al terrorismo rosso in realtà celebrati con tutte le garanzie dei diritti degli imputati.
- Parigi ha qualche scheletro nell’armadio per il ruolo svolto dai servizi segreti in due misteri italiani, la morte di Enrico Mattei e l’abbattimento del Dc-9 Itavia nel cielo di Ustica
Talvolta, spesso, ai francesi slitta la frizione e perdono i freni inibitori. Succede soprattutto quando intendono impartire lezioni di civiltà, diritti, democrazia, terreno sul quale hanno innegabili benemerenze e qualche scheletro nell’armadio. Il nostro governo di destra ha accentuato questa postura sino all’irrefrenabile tentazione di ergersi a maestrini nei confronti dei “fratelli minori” italiani e vien da commentare: da quale pulpito.
Che Giorgia Meloni sia incapace di gestire i flussi migratori è verità lampante, non avevamo bisogno che lo ricordasse il ministro dell’Interno Gérald Darmanin. Al quale potremmo benissimo rammentare lo sconfinamento dei gendarmi a Bardonecchia, la militarizzazione del confine di Ventimiglia, l’impegno di Emmanuel Macron ad affrontare il tema migranti a livello europeo sempre enunciato e sempre rimandato, la catastrofica gestione delle banlieue. Ma non si fa, giudicheranno i francesi l’operato del loro esecutivo. C’è, nel sottofondo, la strisciante accusa di fascismo. E anche in questo caso Giorgia Meloni ha qualche problema con le nostalgie che serpeggiano nel suo schieramento. E tuttavia, quanto a “fascismo eterno”, per citare Umberto Eco, non è che siano tutte luci quelle che splendono sotto la tour Eiffel. Abbiamo avuto Mussolini, alcuni epigoni che, per li rami, sono arrivati sino a noi.
Ma i nostro cugini d’Oltralpe troppo affrettatamente dimenticano il maresciallo Pétain e il regime collaborazionista, il rastrellamento degli ebrei confinati nel Vélod’Hiver, la cruenta decolonizzazione (ah l’Algeria! E dovrebbero amare Pasolini anche per quanto scritto nella sceneggiatura del film La rabbia, oltre che per il resto della sua produzione), la dinastia Le Pen passata dal nero del padre al blu della figlia senza abbandonare rigurgiti razzisti e con corposo consenso elettorale: stando ai sondaggi più recenti Marine la prossima volta potrebbe farcela a salire all’Eliseo.
L’attentato a Mattei
Fosse solo l’attualità. Era l’altro ieri, anni Settanta, la Francia ci equiparava grosso modo a qualche dittatura sudamericana in fatto di giustizia e garanzie per i terroristi rossi imputati di omicidio, usava parole forti come repressione, sospensione delle libertà, quando i processi si erano svolti secondo tutti i crismi di uno stato di diritto quale, bene o male, siamo sempre stati. Un atteggiamento che si sarebbe prolungato fin dentro il nuovo millennio. Succedeva, tutto questo, mentre la patria del diritto ben si guardava dal collaborare con le indagini su due misteri ingombranti della nostra prima Repubblica anche se una mole di indizi portava inequivocabilmente a Parigi.
Il primo è l’attentato, ormai acclarato come tale dal giudice Vincenzo Calia, in cui morì Enrico Mattei, il presidente dell’Eni, precipitato sul suo aereo il 27 ottobre 1962 a Bascapé, vicino a Pavia. Una piccola carica esplosiva era stata piazzata nel cruscotto e collegata al congegno di sganciamento del carrello. Mattei si era inimicato la Francia per il sostegno e la fornitura d’armi al Fronte di liberazione nazionale algerino, tanto da ricevere minacce dall’Oas (Organisation de l’Armée Secrète) che si batteva contro l’indipendenza del paese africano. Non solo all’interno dell’Eni tutti davano per scontato il coinvolgimento francese nell’omicidio, ma diversi personaggi legati ai servizi segreti francesi pubblicarono libri in cui, camuffando nomi e circostanze, rivelavano dettagli sull’attentato.
Ustica
Il secondo è Ustica, il Dc-9 dell’Itavia precipitato in mare il 27 giugno 1980, 81 morti. Fu avanzata la tesi del “cedimento strutturale” per coprire quello che, al minimo, fu un errore, durante una battaglia aerea nei cieli italiani nel tentativo di abbattere il Mig sui cui viaggiava il colonnello libico Gheddafi.
Forse un missile sparato da un caccia partito dalla base di Solenzana in Corsica? I giudici italiano lo chiesero per rogatoria ai francesi i quali risposero che l’aeroporto era chiuso.
Una bugia smascherata dal colonnello e futuro generale dei carabinieri Nicolò Bozzo che si trovava in vacanza vicino alla base militare e che non riuscì a chiudere occhio per l’andirivieni di decolli e atterraggi. Dati i precedenti e prima di lanciare accuse, Parigi dovrebbe maneggiare con più cura i rapporti con l’Italia.
© Riproduzione riservata