Paolo Borsellino andrebbe lasciato in pace, Matteo Salvini dovrebbe lasciarlo in pace. Indossare la mascherina con la stampa dell’immagine del giudice ucciso il 19 luglio 1992 è già di cattivo gusto, farlo nel luogo in cui è stato ammazzato dalla mafia, in via D’Amelio a Palermo, è una provocazione. La mafia e l’antimafia non possono essere ridotti a un reality show, la lotta alle mafie non ha bisogno di “Inluencer dell’antimafia”, come ha spiegato benissimo su queste pagine Attilio Bolzoni. Salvini vive tutto alla stessa maniera, che si trovi a una sagra, a Pontida, o in un luogo della memoria: per lui e la sua propaganda è tutto un gran bel reality dal quale ottenere like, follower, consenso.
Fa riflettere che un senatore della repubblica, che è stato anche a capo del ministero dell’Interno, trasformi un viaggio a Palermo in una passerella provocatoria il giorno prima del processo che lo vede imputato per sequestro di persona.
Il 9 gennaio infatti Salvini saprà se sarà rinviato a giudizio per il caso OpenArms: la nave dell’organizzazione non governativa spagnola bloccata in mare dall’ex ministro dell’Interno, pur consapevole che su quell’imbarcazione erano presenti migranti che avevano sopportato torture in Libia.
Salvini dimentica troppo spesso di essere un personaggio pubblico, non è un ragazzino che milita in qualche associazione o gruppo. Esibire il volto di Borsellino, che per gli italiani ma ancor di più per i palermitani, è simbolo di riscatto e di orgoglio, è un’operazione di marketing politico archietettata il giorno prima di presentarsi davanti ai giudici da imputato.
Se davvero vuole essere vicino a Paolo Borsellino, alla sua etica e alla sua determinazione nello sconfiggere il malaffare, Salvini potrebbe iniziare a spiegare alcune scelte nelle passate tornate elettorali che hanno portato alla candidatura di personaggi con parecchi ombre.
La politica non può essere ambigua sulla lotta alla mafia, non può mostrarsi esibendo simboli e urlando slogan e poi praticare l’indifferenza nelle scelte dei candidati. Vale la pena ricordare dove e con chi ha festeggiato il buon risultato in Calabria delle politiche del 2018: A Rosarno, al tavolo con lui erano seduti un parente di un boss, all’epoca militante della Lega, e un imprenditore, socio in passato di uomini legati ai clan locali.
Non è sufficiente dire la mafia fa schifo. Questo lo dicono ormai anche i mafiosi, anzi sono contenti se lo diciamo perché nel farlo perdiamo di vista la nuova fisionomia del potere criminale.
Perciò Salvini dovrebbe togliersi quella mascherina, perché non è un giubbino e non è neppure un cappello con la visiera con il simbolo dei vigili del fuoco o della polizia, di cui pure aveva abusato da ministro indossatore.
No, qui si tratta di un giudice, del dolore di intere famiglie: quella del magistrato e di quelle dei poliziotti della scorta uccisi con Borsellino. Si tratta di rispetto. Ma da un ex ministro forte nel bloccare i disperati in mare e fragile con i forti, cosa ci si può aspettare se non questo?
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