- L’approccio del governo alla riforma fiscale è chiaro fin dal suo insediamento: dev’essere una riforma organica, non un insieme di modifiche estemporanee di singole imposte.
- Draghi ha ragione a non voler anticipare discussioni che devono guardare alla riforma nel suo complesso.
- Ma potrebbe essere più candido nell’ammettere che, quando verrà il momento, le imposte immobiliari potrebbero crescere, anche in coerenza con lo spirito di una riforma che dovrà tassare meno le persone e più le cose, meno il lavoro e più il patrimonio.
L’approccio del governo alla riforma fiscale è chiaro fin dal suo insediamento: dev’essere una riforma organica, non un insieme di modifiche estemporanee di singole imposte. Credo fosse questa anche la ragione della risposta, forse troppo stizzita, che il premier Mario Draghi dette al segretario del Pd Enrico Letta quando propose, forse con troppo anticipo, di aumentare l’imposta di successione per finanziare i giovani.
Nessun provvedimento va considerato a sé stante. Anche perché le conseguenze della riforma sulla pressione fiscale, la progressività e gli effetti redistributivi del fisco, si possono vedere solo nell’insieme: un’imposta può essere aumentata e altre diminuite, una può diventare più flat e l’altra più progressiva.
Fare una riforma organica richiede tempo e attenzione alla comunicazione. La questione catasto è un primo assaggio della difficoltà. Sfido chiunque a sostenere che abbia senso convivere con un catasto non aggiornato.
L’aggiornamento richiede anni e sarà in questo lungo periodo che si dovrà discutere quanto gravare gli immobili di imposte cioè come utilizzare i numeri che appariranno nel catasto aggiornato.
Draghi ha ragione a non voler anticipare discussioni che devono guardare alla riforma nel suo complesso e coinvolgeranno prossimi governi e nuovi parlamenti.
Ma potrebbe essere più candido nell’ammettere che, quando verrà il momento, le imposte immobiliari potrebbero crescere, anche in coerenza con lo spirito di una riforma che dovrà tassare meno le persone e più le cose, meno il lavoro e più il patrimonio.
Se ha senso promettere che la pressione fiscale andrà ridotta, la promessa non va intesa come quella che nessuno pagherà di più, che nessuna aliquota o base imponibile verrà aumentata.
E non è bene spendersi per smussare ogni cenno alla funzione redistributiva della finanza pubblica che ha un importante significato politico oltre a un prezioso impatto sull’efficienza dell’economia.
Si tratta ora di affrontare il delicato periodo di precisazione e phasing in della riforma. Una commissione tecnica proporrà il dettaglio delle misure la cui entrata in vigore dovrà essere studiata in modo da non distorcere anzitempo l’impatto che si vuole dalla riforma quando sarà completata.
Le deliberazioni e le comunicazioni dei successivi provvedimenti delegati dovranno usare la credibilità politica di questo e dei prossimi governi per scoraggiare chi vorrà giudicarle senza tener conto del disegno d’insieme in via di completamento.
Da quanto ha detto il ministro dell’Economia Daniele Franco, questo delicato esercizio di coerenza temporale comincerà già col prossimo esercizio finanziario, spiegando come l’uso dei miliardi che si vogliono stanziare per alleggerimenti di imposte si inquadri nella riforma che si va disegnando.
Se ci sono o saranno opposizioni, invece di perder la faccia fin d’ora confondendosi con la difesa dell’abusivismo edilizio, dovrebbero impegnarsi a migliorare organicamente il sistema fiscale che il governo proporrà e che al momento consiste solo nei principi annunciati nella delega approvata dal Consiglio dei ministri.
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