- Il ministro Schillaci ha dichiarato di voler lavorare ad una nuova legge sugli errori dei medici. Un fenomeno frequente, ma meno del 5 per cento delle cause penali termina con una condanna
- La paura di un processo penale è una delle cause della “medicina difensiva” che spreca dieci miliardi all’anno e mette a rischio la salute dei cittadini
- In tutta Europa esistono strumenti di conciliazione e di risarcimento più rispettosi delle esigenze dei cittadini e dei medici
Il ministro della Sanità Orazio Schillaci ha annunciato in un’intervista al Messaggero di voler depenalizzare l’errore medico. Un’apposita commissione è stata dunque messa al lavoro per definire entro la fine dell’anno i dettagli di una nuova legge che andrà a sostituire la legge Balduzzi del 2012 e la legge Gelli-Bianco del 2017 che avevano già affrontato il tema della punibilità penale degli errori medici senza riuscire a incidere più di tanto sul contenzioso. Ancora oggi infatti, più di 300mila cause per errore medico giacciono nei tribunali italiani e altre 30mila vi si aggiungono ogni anno.
Il tema è ovviamente molto sentito tra i medici che si trovano a lavorare in uno degli unici due paesi europei (l’altro è la Polonia) che prevedono la perseguibilità penale dei loro errori. Nel resto d’Europa, le vittime di errore medico accedono a meccanismi di conciliazione e di risarcimento che sono gestiti al di fuori delle aule di tribunale o che vi approdano solo per un procedimento di carattere civile.
Come medico sono assolutamente favorevole a questa iniziativa. Nonostante siano passati diversi anni da quando sono andato in pensione continuo infatti a pagare una cospicua assicurazione di responsabilità professionale perché potrei essere chiamato in giudizio fino a dieci anni, non dall’evento, ma dal momento in cui «…la malattia viene percepita (…) quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo». In pratica, una spada di Damocle a vita.
Ma voglio qui provare a ragionare da cittadino, domandandomi perché dovrei rinunciare alla possibilità (alla soddisfazione?) di mandare in galera (si fa per dire) il medico che ha causato a me o a uno dei miei cari un grave danno, a volte anche la morte.
Una causa non fa bene a nessuno
La prima ragione è semplice quanto cruda: 95 volte su cento perderei la causa. Questa è infatti la conclusione cui approdano le cause penali per errore medico, indipendentemente dal fatto che errori anche gravi possano essere stati commessi. Nei processi penali bisogna infatti individuare responsabilità individuali e dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio che il danno è stato direttamente causato dall’attuazione o dalla non attuazione di uno specifico intervento. Si tratta di cose difficili da fare nel contesto della medicina ospedaliera moderna dove i medici cambiano turno dopo turno e i pazienti sono valutati e trattati da una molteplicità di professionisti.
In ospedale, un evento avverso è spesso la conseguenza di tante piccole o grandi imprecisioni, carenze comunicative, paure o ignoranze, nessuna delle quali può essere identificata come la vera e unica causa di un risultato negativo. Intentare una causa penale e perderla non è però solo una questione di probabilità. Significa anche, per chi la promuove, riaprire ripetutamente una ferita dolorosa, udienza dopo udienza , anno dopo anno, senza permetterle mai di chiudersi fino alla sentenza finale. Novantacinque volte su cento questa agognata sentenza non ci darà la sensazione che giustizia sia stata fatta, lasciandoci invece con un rancore profondo e duraturo.
La medicina difensiva fa male a tutti
La seconda ragione è che, come afferma anche il ministro Schillaci, la paura di un procedimento penale è la causa prima di quella che è nota come “medicina difensiva”. I medici cioè tendono ad aumentare al di là del ragionevole la prescrizione di esami diagnostici e di terapie per ripararsi dal rischio di essere denunciati in quanto negligenti o imprudenti. Questo ha conseguenze importanti dal punto di vista economico come da quello sanitario.
Se oggi i cittadini hanno oramai messo in conto di dover pagare di tasca propria per sottrarsi alle infinite liste d’attesa della medicina pubblica è in parte (solo in parte) a causa della medicina difensiva che produce ogni anno interventi inutili per circa dieci miliardi di euro. L’eccesso di esami e di cure espone inoltre a rischi per la salute che troppo spesso vengono sottovalutati.
Basti pensare al rischio radiologico legato ad una tac non necessaria o allo sviluppo di ceppi batterici multiresistenti (dopo il Covid la più importante frontiera della lotta alle malattie infettive) legato alla prescrizione incongrua di antibiotici per la quale, neanche a dirlo, siamo top in Europa.
C’è bisogno di una buona legge
La terza ragione è che esistono modi diversi, più civili e meno conflittuali di superare un contenzioso per responsabilità medica. In Francia il paziente può scegliere di ottenere un indennizzo economico rinunciando a intraprendere un’azione legale. Quando questo avviene, nel 98 per cento dei casi un’apposita commissione riconosce un adeguato risarcimento. Anche nei paesi scandinavi il risarcimento viene assicurato a prescindere dall’individuazione di un colpevole e il medico rimane responsabile solo disciplinarmente. Un primo passo in questo senso è stato fatto in Italia con la legge Gelli-Bianco che prevede l’obbligo di un tentativo di conciliazione dinanzi al giudice competente prima di poter intentare una causa.
I tempi lunghi della Giustizia (l’obbligo di conciliazione decade se il procedimento non si conclude dopo sei mesi dalla presentazione della richiesta) e la mancata emanazione dei decreti attuativi della legge Gelli-Bianco a sei anni dalla sua approvazione, rendono la riforma sulla responsabilità sanitaria inevitabilmente incompleta e non pienamente operativa.
L’auspicio di tutti, operatori della salute e cittadini, è che la riforma che prenderà il nome dal ministro Schillaci non lasci anche questa volta le cose fatte a metà.
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