- E’ possibile una crisi dell’euro 2.0, ovvero una riedizione della crisi finanziaria che nel 2011 ha messo a repentaglio la sopravvivenza della moneta unica?
- Una domanda legittima alla luce del rischio recessione, il caro energia e la scarsità di materie prime, l’inflazione e la contrazione nel commercio internazionale.
- Un’eventuale crisi dell’euro 2.0 dovrà quindi essere affrontata prevalentemente con strumenti fiscali a livello comunitario.
E’ possibile una crisi dell’euro 2.0, ovvero una riedizione della crisi finanziaria che nel 2011 ha messo a repentaglio la sopravvivenza della moneta unica?
Una domanda legittima alla luce del rischio recessione, il caro energia e la scarsità di materie prime, l’inflazione e la contrazione nel commercio internazionale.
Il 60 per cento degli operatori ormai prevede la parità tra euro e dollaro (oggi ci vogliono 1,05 dollari per un euro) dopo che nell’ultimo anno la moneta unica ha già perso il 15 per cento.
Allora fu lo scoppio della bolla immobiliare e la crisi delle banche, che ovunque dovettero essere ricapitalizzate con i soldi pubblici, a innescare la crisi economica; e che a sua volta portò a quella del debito pubblico, raggiungendo l’apice col default della Grecia. Fu quindi una crisi finanziaria a provocare quella dell’economia reale.
Oggi è l’opposto, abbiamo degli shock reali – guerra, costo dell’energia, inflazione, commercio internazionale – che potrebbero portare a una crisi finanziaria: per l’Eurozona significherebbe una crisi dell’euro 2.0.
Una crisi finanziaria presuppone l’esistenza di un eccesso di indebitamento. Ma in Europa le imprese sono molto meno indebitate che nel 2011 e le banche maggiormente capitalizzate e meno esposte al rischio di credito.
L’anello debole sono i debiti pubblici che rispetto al 2011 sono aumentati considerevolmente, in rapporto al Pil, non solo in Italia ma in tutti i maggiori paesi ad eccezione della Germania: per esempio, la Francia ha oggi un rapporto tra debito e Pil superiore a quello di Portogallo e Irlanda nel 2011, due paesi che dovettero ricorrere ai prestiti condizionati del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes); e quello dell’Italia non è di molto inferiore a quello della Grecia di allora.
La crisi dell’euro del 2011 fu scongiurata solo grazie alla Bce, non solo con il famoso “whatever it takes”, ma anche con i prestiti a lungo termine alle banche e gli acquisti massici di titoli pubblici. Come è stata la Bce a intervenire ai primi accenni di crisi causati dallo scoppio della pandemia.
Oggi però la banca centrale deve aumentare i tassi e ha già annunciato di porre termine gli acquisti di titoli perché è diventato prioritario il contenimento dell’inflazione.
In situazioni di crisi la Bce può acquistare i titoli di un singolo Paese, ma solo previa accettazione di un prestito condizionato da parte del Mes, con annessa austerità: impensabile, perché sarebbe un fattore politicamente disgregante dell’Unione Monetaria.
Un’eventuale crisi dell’euro 2.0 dovrà quindi essere affrontata prevalentemente con strumenti fiscali a livello comunitario.
Ma l’attenzione della Commissione e dei governi sembra piuttosto concentrarsi sugli effetti del caro energia, facendo implicito affidamento, ancora una volta, sulla Bce per contrastare le crisi finanziarie.
Sarebbe un errore, che rischieremmo di pagare caro.
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