- Non sembra, quindi, che nel Rassemblement National l’esempio italiano stia facendo breccia e proseliti.
- Certo, l’ipotesi di aprirsi una via verso il potere fa gola e il nuovo governo italiano suscita simpatia.
- Ma i sondaggi, che vedono il partito in ascesa, non inducono a scostarsi dal modello-Marine.
Modello Meloni? Fra quanti si occupano abitualmente di quella che negli ambienti accademici viene definita, non senza approssimazione e a volte con una certa dose di pregiudizi, “destra radicale” europea, l’espressione ha già iniziato a circolare.
Chi la utilizza intende avanzare l’ipotesi che il successo elettorale riscosso da Fratelli d’Italia, e soprattutto il suo ingresso al governo in posizione privilegiata, stiano già scatenando un effetto imitativo fra le formazioni che vengono inserite nella sua stessa famiglia, se non come sorelle – perché questo ruolo dovrebbe spettare agli alleati del gruppo dei Conservatori e riformisti europei – quantomeno come cugine di primo grado.
Un’imitazione che, detta in sintesi, le dovrebbe traghettare dalla marginalità alla legittimazione come credibili pretendenti a ruoli esecutivi attraverso una svolta “moderata” e soprattutto destrorsa.
Da Vox a RN
A sostegno di questa interpretazione viene portato non solo il precedente della spagnola Vox, che da un’iniziale attrazione per Identità e democrazia – il gruppo europarlamentare che ha nella Lega, nel Rassemblement National e in Alternative für Deutschland i suoi cardini – si è successivamente spostata verso l’aggregazione conservatrice, ma anche il caso più recente dei Democratici di Svezia, fino a poco tempo addietro additati come infrequentabili xenofobi estremisti ma poi “purificati” da un’identica virata in direzione Ecr, tanto da trasformarsi in accettabili e indispensabili alleati nel governo di centrodestra formato dopo il verdetto delle urne.
Alcuni si spingono a considerare sintomi significativi di questa svolta i cambi di rotta in politica estera di partiti che pure continuano ad appartenere a Id, primi fra tutti i Perussuomalaiset, che all’immediato indomani dell’attacco russo all’Ucraina hanno invocato l’immediata adesione della Finlandia, alla Nato – proprio come, rovesciando una piattaforma programmatica adottata da anni, hanno fatto gli Sverigedemokraterna nel paese confinante.
Con una contemporanea repentina attenuazione delle tradizionali polemiche nei confronti dell’Unione europea, ora considerata da riformare sì, con un bilanciamento delle competenze a favore degli Stati nazionali, ma da accettare come guida politica del continente.
Come Fratelli d’Italia
Partendo dalla constatazione di questi cambiamenti di posizione si è da più parti dedotto che l’epoca di quelli che ormai da quasi trent’anni, sulla scia dei pionieristici studi del politologo tedesco Hans-Georg Betz, vengono definiti «partiti della destra radicale populista» sia ormai al tramonto.
Messa la sordina agli attacchi all’establishment, levigati i ruvidi toni polemici a lungo branditi contro i “poteri forti” economico-finanziari, dismessa la demagogia plebea sulla riscossa degli “ultimi” contro i privilegi di “quelli che stanno in alto” a vantaggio di una riconversione a politiche liberiste e, soprattutto, cancellata l’ambizione a collocarsi “né a destra né a sinistra” accettando di aderire pienamente al primo dei due campi, tutte queste formazioni sarebbero disposte – si sostiene – a fare da sponda più o meno aggressivamente conservatrice a coalizioni con partiti di centro, ridisegnando gli equilibri e le dinamiche dei sistemi politici di molti paesi europei.
Seguendo, appunto, il percorso tracciato negli scorsi anni da Fratelli d’Italia.
Visto in questa prospettiva, il modello Meloni si contrapporrebbe frontalmente al modello Marine Le Pen – personaggio verso cui peraltro l’attuale presidente del Consiglio non ha mai mostrato, a differenza di Matteo Salvini, alcuna particolare simpatia.
Ovvero all’idea e all’immagine di un partito che, come la leader francese ha recentemente ribadito in un’intervista a Éléments, la rivista che ha come editorialista Alain de Benoist, punta a porsi alla testa di un «blocco popolare» dei «grandi sacrificati della deindustrializzazione e della globalizzazione» opposto alla «casta argirocratica, l’aristocrazia dei ricchi», sulla base della convinzione che ormai da decenni lo spartiacque destra-sinistra sia stato «cancellato» da nuovi conflitti sociali e culturali. Convinzioni e parole d’ordine che esprimono nella sua integralità la mentalità populista.
Perché Bardella
Chi pensa che lo scontro tra i due modelli sia inevitabile, e di fatto già in atto, sottolinea la mancata partecipazione dei lepenisti al recentissimo «Incontro della frontiera Sud» organizzato da Vox a Ceuta sotto la sigla dei Conservatori e riformisti per criticare la politica delle frontiere aperte e confermare l’ostilità ai flussi migratori di massa verso l’Europa, dove invece una rappresentanza di FdI era presente.
E si spinge a leggere in questa chiave (lo ha fatto, ad esempio, il quotidiano moderato Le Figaro) anche l’ascesa alla presidenza, nel congresso che il Rassemblement National ha tenuto il 5 novembre, di Jordan Bardella.
Il ventisettenne successore di Marine Le Pen, che ha avuto la meglio sul lepenista storico Louis Aliot, sindaco di Perpignan, viene infatti dipinto come il portavoce di una linea “identitaria” a scapito di una “sociale”, il cui successo – oltre a provocare la fronda di alcuni dirigenti di primo piano – sposterebbe a destra il partito, rendendolo disponibile a convergenze con i postgollisti, in un’ottica destinata, a medio termine, a replicare la strategia di inserimento sistemico che ha dato i suoi frutti in Italia.
Il che significherebbe invertire la rotta tracciata da undici anni a questa parte dalla figlia del fondatore e porre le premesse, se non per una intesa con Éric Zemmour, che il radicalismo anti-islamico esibito durante la campagna presidenziale ha reso infrequentabile, almeno per un recupero di buona parte dei suoi elettori, che – come ha attestato un recente sondaggio Ifop – pesano ancora un appetibile cinque per cento.
Solo wishful thinking
Per quanto possa attrarre l’attenzione dei media, questa raffigurazione degli eventi pecca di un evidente eccesso di wishful thinking da parte di chi vorrebbe considerare tramontata la stagione delle affermazioni populiste ed auspica un recupero in chiave anti-sinistra del loro patrimonio di consensi.
Jordan Bardella, nell’intervento tenuto subito dopo l’elezione, non si è limitato ad uno scontato caloroso elogio di Marine Le Pen.
Ha ricordato di essere nato alla politica con lei e di avere da subito condiviso la sua linea di dédiabolisation, sottolineando esplicitamente l’impegno a mantenere il partito estraneo alla logica dell’allineamento alla destra o alla sinistra.
Ha sì impostato il suo discorso su toni molto più contenuti di quelli a cui i frequentatori dei congressi frontisti erano abituati e in un successivo faccia a faccia televisivo non ha mancato di punzecchiare – con un riferimento alle parole «non molto fini» pronunciate in parlamento da uno dei suoi deputati, poi sospeso per quindici giorni dai lavori dell’assemblea, che aveva incitato a far ritornare in Africa le navi delle ong cariche di migranti [frase rivolta invece, secondo la sinistra, a un deputato della Nupes di origini congolesi] – chi dovesse infrangere il codice di comportamento “istituzionale” adottato dal partito.
Ma sui contenuti programmatici del Rn non ha cambiato una virgola, ribadendo la priorità della lotta all’immigrazione, che in passato lo ha portato a ritenere corrispondente alla realtà l’immagine della «grande sostituzione» etnica della popolazione francese divulgata dallo scrittore ex comunista Renaud Camus, e l’attenzione ai problemi che, come il costante calo del potere d’acquisto, determinano, per dirla con le parole di Marine Le Pen nella citata intervista, «l’impoverimento generale, se non la proletarizzazione, delle classi medie nonché la crescita delle situazioni di pauperizzazione e persino di miseria nel nostro paese».
Non sembra, quindi, che nel Rassemblement National l’esempio italiano stia facendo breccia e proseliti.
Certo, l’ipotesi di aprirsi una via verso il potere fa gola e il nuovo governo italiano suscita simpatia, ma i sondaggi, che vedono il partito in ascesa, non inducono a scostarsi dal modello-Marine.
Che, con i rischi di turbolenze sociali in vista nei paesi toccati dalla crisi energetica, potrebbe presto rilanciare sul piano continentale l’alternativa populista, a scapito di quella nazional-conservatrice.
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