- Nello schema di task force per gestire il Recovery Fund delineato dal premier Conte ci sono due punti critici. Il primo riguarda la progettazione. Un nodo che affligge tradizionalmente la capacità di realizzazione degli investimenti pubblici in Italia, e di cui non si dice quasi niente.
- L’altro nodo è quello della valutazione dei progetti che devono integrarsi nei grandi assi. Questo problema non è toccato, anche se si sa che i progetti ci sono già e sono stati raccolti nei mesi scorsi, non si sa bene come.
- Se non si progettano interventi realmente integrati ma si sceglie una sommatoria di progetti tirati fuori dai cassetti, tra loro slegati anche se già pronti, corriamo il pericolo di ricadere nei vecchi vizi di frammentazione e indebite ingerenze politiche.
E’ difficile offrire al dibattito pubblico un quadro chiaro e insieme pacato e argomentato dei veri nodi critici relativi al Recovery Plan. A prima vista la violenta polemica esplosa negli ultimi giorni sembra tutta leggibile come un classico scontro di potere per il controllo di un ammontare di risorse europee di straordinarie proporzioni. Che ci sia questa motivazione dietro le critiche al presidente del consiglio, oltre a possibili altre legate a giochi politici di corto raggio, appare difficile da negare.
D’altra parte, che Conte abbia tenuto le sue carte il più coperte possibile sembra altrettanto chiaro. Bisogna però riconoscere che dietro la proposta di Conte c’è anche il tentativo di trovare una risposta a un problema che ci trasciniamo da decenni: quello della scarsa efficacia dei fondi strutturali europei. D’altra parte, una maggiore attenzione su questo nodo è sollecitata oggi, ancor più che nel passato, dall’Unione Europea
In che direzione va allora il tentativo spendere presto e bene le risorse per grandi obiettivi che implicano un impegno straordinario in termini di investimenti pubblici?
La struttura di missione
La direzione che si profila chiaramente è quella di un maggior coordinamento a livello nazionale per evitare la dispersione, la scarsa integrazione, la bassa capacità di spesa, e in definitiva la scarsa efficacia dei fondi europei dovute alla frammentazione dei vari centri decisionali. Ministeri, regioni, enti locali tendono tutti a massimizzare le risorse da gestire e a evitare vincoli e controlli nel loro uso, indipendentemente dall’appartenenza politica di chi li dirige.
E’ convincente la soluzione organizzativa che si intravede? Si e no. E’ certamente condivisibile la direzione di un maggior coordinamento nazionale, ma il suo successo dipende da molte variabili che non sono ancora ben chiare.
Paradossalmente, tra i punti critici non sembra vi sia quello, su cui molto insiste la polemica, della “struttura di missione” da costituirsi presso la presidenza del consiglio con i "responsabili di missione” che hanno il compito di sovrintendere ai progetti che sono compresi in ciascuno dei grandi obiettivi del piano. La struttura di missione è prevista per compiti particolari e esigenze straordinarie nel nostro ordinamento. I responsabili dei diversi assi di intervento non espropriano dunque di per sé la politica e i ministri dei loro compiti di indirizzo e controllo.
E’ previsto un Comitato esecutivo (la cabina di regia politica) costituito dal presidente del consiglio, dal ministro dell’Economia e da quello dello Sviluppo economico, che esercita una funzione di indirizzo, coordinamento e controllo nei riguardi dei responsabili di missione. Questo Comitato riferisce a sua volta al Comitato Interministeriale per gli Affari Europei (Ciae) di cui fanno parte i ministri e i rappresentanti di regioni e enti locali impegnati nella attuazione del piano, che segue la predisposizione e realizzazione degli interventi; inoltre riferisce periodicamente alle Camere, presentando anche delle relazioni trimestrali e quindi recependone eventuali indicazioni.
Quanto alla selezione dei responsabili, questi possono essere scelti tra dirigenti delle pubbliche amministrazioni, di imprese e società pubbliche e anche dal settore privato. La stessa cosa potrà avvenire per lo staff che deve assistere i responsabili, su cui si è molto ironizzato (le 300 assunzioni).
Come si vede, appare dunque improprio parlare di esproprio della politica e dei ministri delle funzioni di indirizzo e di guida così come etichettare questa ipotesi organizzativa in termini di ‘struttura parallela’ rispetto alla pubblica amministrazione.
Quanto è efficace?
L’interrogativo che invece bisogna porsi riguarda la reale efficacia di questo assetto per perseguire l’obiettivo di fare poche cose buone, ben integrate e di spendere presto e bene. E’ da questo punto di vista che restano dubbi e sorgono interrogativi.
Da quel che c’è scritto in poche pagine del documento emerge soprattutto il tentativo di spendere rapidamente, assegnando ai responsabili di missione poteri sostitutivi rispetto alle autorità di gestione dei progetti (regioni e ministeri, tradizionalmente responsabili di ritardi e intoppi nell’uso dei fondi europei), oltre che compiti di vigilanza e assistenza.
Molto si confida in norme, come quelle del decreto Semplificazioni e altre, per accelerare il processo di realizzazione. Ma alla luce anche di altre esperienze, come per esempio quelle dell’Agenzia per la Coesione Territoriale’ nell’uso dei fondi europei, non è facile coordinare le distinte autorità di gestione e farle collaborare tra di loro.
Potrebbe essere opportuno affidare direttamente alla struttura di missione le funzioni di autorità di gestione, almeno per i progetti più grandi e verticalmente integrati, ovviamente dotandola delle risorse necessarie, in particolare per la progettazione.
Chi fa i progetti?
Arriviamo così agli altri due punti deboli da verificare. Il primo riguarda la progettazione. Un nodo che affligge tradizionalmente la capacità di realizzazione degli investimenti pubblici in Italia, e di cui non si dice quasi niente.
L’altro nodo, legato al precedente, è quello della valutazione dei progetti che devono integrarsi nei grandi assi. Questo problema non è toccato, anche se si sa che i progetti ci sono già e sono stati raccolti nei mesi scorsi, non si sa bene come.
Qui però si annida un rischio grande. Se non si progettano interventi realmente integrati ma si sceglie una sommatoria di progetti tirati fuori dai cassetti, tra loro slegati anche se già pronti, e se non si valutano questi progetti con l’aiuto di esperti competenti e indipendenti, corriamo il pericolo di ricadere nei vecchi vizi di frammentazione e indebite ingerenze politiche.
Ne risulterebbe un coordinamento nazionale che magari riesce a spendere più rapidamente, ma senza far crescere davvero la resa dei fondi europei.
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