«Senza di te mi manca l’aria. Ti amo, ci apparteniamo. Ti amo piccola, per questo ti proteggo. Ti amo, sei mia. Ti amo da morire». Cosa c’entra l’amore, l’amore romantico, che fa sognare, che ci rende uniche agli occhi dell’altro, che dà senso alle nostre giornate, con l’annullamento, l’eliminazione fisica, l’odio rabbioso da parte di chi dice di amarci? Non si uccide per amore, ma l’amore c’entra. Per affrontare questa questione cominciamo domandandoci cosa abbiamo imparato, cosa impariamo ogni giorno, sull’amore.

Cosa imparano i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze. Pensate ad un lucchetto. Serve a chiudere, proteggere da attacchi esterni, sigillare. Una volta chiuso non si può più aprire, a meno che non si possegga la chiave. Io tutti i giorni per andare a lavoro passo su un ponte di Roma bello e famoso: Ponte Milvio. Da molti anni è sommerso di lucchetti, grandi e piccoli, vecchi e nuovi, che centinaia, se non migliaia di ragazzi e ragazze attaccano al Ponte per giurarsi amore eterno. Ci si giura amore eterno e si butta la chiave nel fiume Tevere. Neanche volendo si potrà sciogliere quella promessa. Questa idea di amore, è l’idea di un’unione, di una fusione, siamo una sola cosa, ci apparteniamo, TU sei mia. Ed ecco che questo amore si intreccia perversamente alla violenza, all’idea che sarà assolutamente impossibile separarsi, sottrarsi.

Neanche volendo potrai mai lasciarmi. E il monito implicito diventa che se non puoi essere mia, non sarai di nessun altro. Ma da dove parte questa idea di amore? Quando comincio a pensare che sarò felice se apparterrò a qualcuno, quando qualcuno butterà un lucchetto nel fiume per me? La letteratura scientifica ci dice presto, molto presto. Quando nasco, già in culla, se sono una bambina, gli adulti mi sussurreranno e utilizzeranno un tono della voce e delle parole diverse da quelle che utilizzano con il mio fratellino maschio. Si chiama baby talk, ed è diverso se lo rivolgiamo a neonati maschi o a neonate femmine. 

Complimenti per l’aspetto fisico

È il modo spontaneo e affettuoso in cui madri e padri parlano ai loro neonati. Ebbene se sono una neonata verranno utilizzati tre volte di più complimenti che hanno a che fare con l’aspetto fisico. Le parole verranno sussurrate in modo dolce e soave, verrò presa in braccio facendo attenzione ad avvolgermi, a proteggermi. Se sono un neonato maschio mi verrà detto tre volte di più “che bambino forte” per farmi un complimento. Il baby talk cambia addirittura di tono, se si parla con neonati maschi e neonati femmine: sarà più dolce, più soave se parlo con una femminuccia, sarà più rude, più forte se parlo con un maschietto. 

Crescendo, a soli 5 anni, a differenza dei miei coetanei maschi, smetterò di immaginarmi in posizioni apicali nella società per ridimensionare le mie aspettative sul futuro. Smetterò di pensarmi dirigente, presidente, direttrice di azienda, per abbassare le mie aspettative, i miei sogni. Si chiama dreaming gap. Il dreaming gap è il divario di possibilità che separa le bambine dal loro potenziale (...) 

Andando avanti in adolescenza scoprirò che i miei stessi genitori a parità di competenze e di abilità vedono mio fratello più intelligente di me. Cercano il doppio delle volte su google mia figlia è grassa piuttosto che mio figlio è grasso. I miei genitori, che mi amano e che mi rispettano, saranno preoccupati per il mio aspetto fisico, pensando che sarà molto influente nella mia vita, rispetto a quanto sarà importante per mio fratello maschio. I miei genitori cercheranno il doppio delle volte mio figlio è un genio piuttosto che mia figlia è un genio.

Cercare qualcuno

E così crescendo, quelle bambine, imparano non ad amare sé stesse, ma a cercare qualcuno da amare, degno di rispetto e fiducia e di completa dedizione, anche a scapito delle proprie passioni e desideri. Non credono più tanto in loro stesse: imparano che devono trovare qualcuno che si occupi di loro. E così imparano a fingere, a mentire per compiacere, a mentire allontanandosi da se stesse, dai loro desideri, dalle loro capacità. 

Conoscete il mito di Atalanta? Atalanta, figlia di Iaso, nonostante rinnegata dal padre perché femmina, diventa la più abile nella caccia e la più veloce di tutti: era fiera e orgogliosa delle proprie capacità, ma l’oracolo le aveva predetto che con il matrimonio avrebbe perso tutte le proprie abilità. Allora Atalanta, fiera ed orgogliosa, dichiara che sposerà solo chi saprà batterla: è convinta non esista qualcuno più forte di lei. Ma quando si innamora di Ippomène decide che per lui non solo ne varrà la pena, è il suo destino. Rinunciare a tutte le proprie abilità per una donna non è un male se in cambio può unirsi all’uomo che ama. Atlanta, perfetto mito dell’amore patriarcale, insegna che l’amore vuol dire rinunciare a sé per compiacere qualcun altro: prendersi cura, accudirlo, sostenere la sua intelligenza, anche a scapito della propria.

È la sindrome di Biancaneve: sposare un principe azzurro, essere scelta, anche se non si ha scelto. Dopotutto l’amore che ci hanno raccontato che è proprio questo: un fulmine che arriva, un sentimento che ci rapisce, sembra arrivare senza nessuna scelta, senza nessuna azione attiva: «to fall in love», si dice in inglese.

Si cade nell’amore, come in un tombino, non lo si sceglie. Ragazze disposte a mettere da parte le proprie aspirazioni a beneficio della relazione con chi amano. Indubbiamente le donne intrappolate in una relazione violenta sono quelle bambine a cui fin dalla prima infanzia è stato insegnato che doveva diventare qualcosa di diverso da se stessa, che doveva negare i suoi veri sentimenti per attrarre e compiacere gli altri. L’amore autentico invece è una combinazione di cura, impegno ,fiducia, conoscenza, responsabilità e rispetto. Laddove c’è violenza, non si è mai amati. Nessuno può dirsi amorevole quando si comporta in modo violento. E l’amore di sé è il fondamento della capacità di amare. Prendendo a prestito una citazione di Forrest Gump possiamo dire: L’amore è ciò che l’amore fa. 

Non ti fa star male, non ti fa sentire inadeguata, non ti fa odiare te stessa. È qualcosa che ti libera, che ti conforta, che ti fa ridere dentro. Ma non ci può essere amore senza giustizia, senza diritti, senza pari opportunità per quelle bambine ritenute meno intelligenti solo perché femmine. Allora il legame tra amore e violenza parte proprio da lì: dalla mia, dalla nostra capacità di vedere che le giovani donne possono amare senza rinunciare a se stesse e alla propria libertà. Capendo che l’amore è una risata, è libertà, e non un lucchetto la cui chiave è in fondo al fiume.

© Riproduzione riservata