- Siamo entrati nella fase esecutiva del Pnrr ed è sempre più forte la sensazione che stiamo sprecando una grande occasione.
- Prendiamo la rigenerazione urbana: non c’è un’idea complessiva, ma un pulviscolo di interventi incoerenti.
- Mentre nel resto del mondo si pensa a interventi sistemici e si torna a parlare di “città a 15 minuti” l’Italia rischia ancora di essere il fanalino di coda.
Siamo entrati nella fase esecutiva del Pnrr. E comincia a essere più tangibile la percezione che rischiamo di sprecare una opportunità strategica per volgere il nostro sguardo al futuro. Il 30 dicembre 2021 è stato approvato un decreto interministeriale che assegna ai comuni le risorse per gli interventi di rigenerazione urbana. Sono state stanziati 3,4 miliardi di euro, da spendere entro il 2026. Altri 300 milioni di euro si aggiungeranno nel 2022.
Di rigenerazione urbana ce ne sta davvero poca nei programmi approvati. In realtà, gli elenchi illustrano un pulviscolo di interventi contenuti in 23 tavole fitte di nomi, con una estrema polverizzazione degli investimenti previsti sugli immobili pubblici: si va dai 70 metri quadri di Potenza Picena (Macerata) ai 322mila di Aci Catena (Catania).
Insomma, abbiamo intrapreso la strada della manutenzione urbana, più che quella del ripensamento delle nostre aree urbane. In giro per il mondo comincia invece ad essere sperimentato il concetto della “città a 15 minuti”, un sistema metropolitano di prossimità, nel quale tutte le funzioni principali siano raggiungibili entro un quarto d’ora.
Entro 15 minuti
Questa idea affonda le sue radici nei princìpi del nuovo urbanismo fondato sul concetto di unità di prossimità, introdotto dal pianificatore americano Clarence Perry all’inizio del ventesimo secolo. Tutte le città europee, e Parigi in primis, sono state pianificate e costruite secondo il modello dei 15 minuti, circa 800 metri a piedi: dalle contrade di Siena alla Parigi di Haussmann, ristrutturata tra il 1853 e il 1869 in una metropoli composta di 20 città indipendenti – i 20 arrondissements –, ciascuna composta da 4 o 5 quartieri urbani.
Poi le aree urbane si sono sviluppate a dismisura, in una dicotomia tra centro e periferie, con i guasti sociali, di trasporti ed economici che conosciamo: le distanze si sono allungate e la congestione attraversa le nostre giornate.
Proprio a cavallo del tempo della pandemia, il modello della città dei quindici minuti è tornato di attualità. Anne Marie Hidalgo, sindaco di Parigi ha proposto di ridurre la rete di trasporto pubblico in favore di un sistema soft pedonale e ciclabile, che tende a favorire lo spostamento a piedi. La metropoli dell’era post Covid-19 può essere ristrutturata secondo una federazione di città dentro la città, eco-quartieri misti dove abitazione e luogo di lavoro o di divertimento siano raggiungibili in 15 minuti.
La città policentrica
L’intensificarsi del lavoro e dello studio da casa che la pandemia ha prodotto, oltre ad amplificare il ruolo e il tempo dello spazio domestico, sta modificando il rapporto tra centri urbani e periferie. Da una parte, assistiamo a centri che si svuotano di persone e di attività, dall’altra a quartieri che durante il giorno si ripopolano. Le metropoli dell’era post pandemica stanno conoscendo un ulteriore svuotamento dei centri, per effetto dei valori immobiliari elevati e della diffusione del lavoro a distanza.
Questo riassetto porta a chiedersi se stia riemergendo la figura della città policentrica, composta di parti autonome e autosufficienti, dove i luoghi delle diverse attività siano prossime alle abitazioni. Alcune amministrazioni di grandi città europee, per prima quella di Parigi, ma ora anche Milano, hanno adottato l’idea di una città dei 15 minuti per realizzare strategie di riorganizzazione della vita urbana. A formalizzare lo schema di analisi della “città dei 15 minuti” è stato il professor Carlos Moreno (Università della Sorbona), che ha teorizzato questo approccio, nel libro La Ville du quart d’heure: pour un nouveau chrono-urbanism.
L’occasione sprecata
Con il piano 2017-2050, Melbourne ha avviato la sua riorganizzazione come “città dei 20 minuti”, già realtà in zone di Ottawa, Edimburgo e Utrecht. Nel febbraio 2020 un quartiere di Copenhagen (Nordhavnen, già oggi soprannominato “five minutes to everything”), si accinge a realizzare la città sostenibile del futuro. Barcellona ha lanciato il “Manifiesto por la reorganizacion de la ciudad tras el Covid-19”, con quattro obiettivi chiave: riorganizzare la mobilità; (ri)naturalizzare la città; calmierare i costi degli alloggi; ridurre i consumi.
La città delle distanze, che ha caratterizzato la seconda parte del secolo scorso, dovrebbe dunque fare spazio di nuovo alla città della prossimità. Mentre il mondo discute sul ripensamento delle aree urbane dopo la pandemia, noi, forse, ci limiteremo a ristrutturare edifici con i fondi del Next generation Eu.
Per carità, non c’è nulla di male. Ma si perderà una delle tante opportunità strategiche per ripensare il nostro modello di vita urbana e sociale. Destinare 3,7 miliardi di euro del Pnrr alla manutenzione degli edifici, in assenza di una idea di rigenerazione degli spazi urbani, dimostra ancora una volta che l’Italia ha lo sguardo rivolto all’indietro. Forse, anche di questo dovremmo discutere.
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