- Abolire, fare a meno del codice degli appalti o sospenderli è un ragionamento molto pericoloso che non ha ancora trovato una risposta ferma e vigorosa. La storia del nostro paese ci dice con estrema chiarezza che il capitalismo mafioso è stato foraggiato dagli appalti pubblici.
- I mafiosi si sono arricchiti con i soldi di tutti i contribuenti italiani che pagano le tasse, una parte delle quali ha alimentato il mercato criminale. Si possono velocizzare i tempi, migliorare quello che non funziona; quello che non si può fare è bloccare i controlli.
- Tutti questi soldi non sono dormienti, ma si muovono accanto a capitali legali e ben osservati, interferiscono con questi e agiscono in regime di concorrenza sleale. Il mercato libero in realtà non lo è.
Molti ripetono che per gli appalti pubblici si deve seguire il modello Genova come è stato fatto per ricostruire il ponte dopo la tragedia del crollo del Morandi. Lo ha detto anche la ministra per il Sud e la coesione sociale Mara Carfagna. Ciò significa abolire, fare a meno del Codice degli appalti o sospenderlo per un po’ come propone Roberto Rustichelli presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Se si blocca il codice degli appalti definitivamente o anche solo temporaneamente se ne avvantaggeranno i poteri criminali. Il capitalismo mafioso è stato sempre foraggiato dagli appalti pubblici. So bene che ci sono altre entrate che rendono ricchi i mafiosi, dalla droga ai rifiuti, dalla sanità alle armi e a tanto altro ancora. Ma adesso è il momento di discutere del comparto dell’edilizia che a breve ripartirà con i fondi pubblici.
Dal sacco di Palermo al completamento dell’Autostrada del sole nel tratto Salerno-Reggio Calabria, ai grandi lavori del Nord (campo Smith a Domodossola è l’esempio più antico), Camorra e ‘Ndrangheta hanno trovato il modo di entrare nel settore dell’edilizia, di costruire imprese edili con imponenti interessi mafiosi inserendosi nei subappalti e nella gestione dei cantieri. Ciò è avvenuto perché non c’erano controlli e non esisteva un meccanismo che impedisse ai mafiosi di penetrare in questo settore vitale della nostra economia.
I mafiosi si sono arricchiti con i soldi pubblici di tutti i contribuenti italiani che pagano le tasse, una parte delle quali ha alimentato il mercato criminale. Vogliamo ritornare a questa situazione o vogliamo cercare di migliorare e di far funzionare il sistema dei controlli? Si possono velocizzare i tempi, migliorare quello che non funziona; quello che non si può fare è bloccare i controlli.
È un errore comune relegare il fenomeno mafioso a una dimensione esclusivamente criminale che si muove lungo un crinale di affari dichiaratamente illegali, e non valuta che gli enormi profitti maturati creano imprese e soggetti criminali che agiscono sul piano economico e interferiscono con l’economia legale.
Invece, il volume degli affari economici criminali è davvero enorme con movimentazione di capitali a livello globale perché oramai l’economia criminale si è integrata con quella legale sicché è difficile da individuare e da distinguere. È noto, peraltro, che c’è “un’economia non osservata” che è pari, secondo l’Istat, a 250 miliardi di euro all’anno. Economia non osservata è una straordinaria invenzione linguistica per non dire in modo crudo che lo stato non è in grado di controllare l’evasione fiscale, il lavoro nero, l’economia illegale.
Tutti questi soldi non sono dormienti, ma si muovono accanto a capitali legali e ben osservati, interferiscono con questi e agiscono in regime di concorrenza sleale. È davvero sorprendente che cultori del libero mercato e delle magnifiche sorti del capitalismo non comprendano che in tali condizioni il mercato non è affatto libero, ma sempre di più condizionato dal capitalismo criminale, quello di alcuni comparti dell’edilizia in modo particolare.
Il volume d’affari è talmente elevato e significativo che alcune attività – prostituzione, traffico di stupefacenti e contrabbando di sigarette estere – sono entrate nel calcolo del Pil nazionale. È paradossale che attività criminali caratterizzate dalla violenza nei rapporti sociali e dalla soppressione fisica di chi li ostacola, siano entrate a far parte del computo del livello dello sviluppo nazionale. È un’ipocrisia, quella di uno stato che da una parte spende cifre imponenti per mantenere un apparato di contrasto, dai magistrati alle forze dell’ordine (polizia, carabinieri, guardia di finanza) e dall’altra computa queste attività nel nostro benessere. Confesso di sentirmi in colpa e un po’ fuori posto perché non contribuisco all’aumento del Pil nazionale. Infatti non fumo, non vado a prostitute e non consumo droga.
Faccio una domanda al presidente Draghi, facendo appello alla sua indubbia e indiscussa competenza economica: ma è mai possibile che non si possano trovare altre voci per indicare la crescita del nostro Pil? Cancellare questo obbrobrio significa poter affermare che attività dichiaratamente criminali non possano far parte di indicatori di livelli di crescita raggiunte da una nazione civile come l’Italia.
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