- Quando affronta le strade della politica sovranazionale, la macchina politica del nostro paese procede con gli abbaglianti. Ma va invece a fari spenti quando si addentra nella situazione nazionale.
- Il dogma dell’infallibilità di Draghi. Di fronte a una democrazia presidenziale annunciata a Costituzione invariata, il prossimo presidente della Repubblica dovrà ripristinare le regole della democrazia parlamentare.
- Si rischia una soluzione postdemocratica, se non attivamente antidemocratica. Il Pd impegnato in una scelta dilatoria.
Strano paese, l’Italia. Quando affronta questioni di carattere internazionale riesce a tenere alto il tono, o comunque a rispondere all’altezza dei consessi internazionali, come avviene in questi giorni, nonostante la molta scenografia e gli scarsi risultati. Quando affronta le strade della politica sovranazionale, la macchina politica del paese procede con gli abbaglianti. Ma va invece a fari spenti quando si addentra nella situazione nazionale.
Tra alcune settimane non verrà cambiato solo un presidente della Repubblica ma si scioglierà una situazione che il genio italico aveva costruito per risolvere una difficoltà del sistema politico: quando si constatò che il sistema dei partiti, e quindi la democrazia rappresentativa parlamentare, non era più in condizione di esprimere un governo a maggioranza politica tale da poter affrontare le questioni impellenti – la crisi di carattere sanitario e l’avvio del Piano nazionale di ripresa – si creò, a Costituzione invariata, una condizione istituzionale anomala.
Il parlamento non funziona, o funziona male, quindi dovrebbe essere sciolto? Bene, non potendolo sciogliere è meglio creare una condizione di anestesia parziale del parlamento. Così è avvenuto: il parlamento ha un ramo che funziona alternativamente all’altro. Il governo non funziona? Bene, cerchiamo una soluzione in cui la presenza politica è bilanciata da quella tecnica.
Non c’è un leader di questa situazione nuova? Bene, troviamo un personaggio del quale è ignota persino la tendenza politica. Credo che, nella storia d’Italia, l’attuale sia l’unico presidente del Consiglio di cui non si sa quale partito voti. Si è dunque creata una situazione anomala, una torsione istituzionale, in cui una democrazia parlamentare affievolita viene garantita e bilanciata dalla autorevolezza e dalla garanzia del presidente della Repubblica. La democrazia presidenziale è stata annunciata e tendenzialmente realizzata.
Ma tutto questo presto finirà. Nelle costituzioni democratiche ci sono le scadenze, i mandati non sono eterni. Fra alcune settimane, con l’elezione del presidente della Repubblica, cambia la natura del governo. Il governo si scioglie e si torna alla normalità costituzionale. O, quantomeno, si riapre la questione se la soluzione straordinaria di un governo a due teste istituzionali – presidente della Repubblica e presidente del Consiglio – può sopravvivere con un nuovo capo dello stato.
Ecco perché è fondamentale che si discuta subito la questione della presidenza della Repubblica. I partiti che vanno a costituire il seggio elettorale che è il parlamento in seduta congiunta, vorranno scegliere il garante del superamento dello stato di necessità e del ritorno alle regole della democrazia parlamentare?
E se questo parlamento non è nelle condizioni di poterlo fare, il nuovo presidente avrà la forza e l’autorevolezza di poter affrontare uno scioglimento anticipato delle camere, cioè uno scioglimento del seggio elettorale che lo ha eletto? Ecco perché oggi la questione del Colle non è rinviabile nel dibattito dei partiti. Dove invece c’è una tendenza a lasciare le cose come stanno o rinviare la soluzione di un problema lasciandolo ulteriormente marcire, a rischio di caos istituzionale.
Il Pd ha le radici nei partiti fondatori della Costituzione italiana, quindi sa che è un equilibrio delicato dei poteri, dove nulla è concesso allo straripamento extraistituzionale personalistico e individualistico. Il tratto fondamentale di una democrazia è che tutti sono utili e nessuno insostituibile. Ora invece sta passando l’idea dell’insostituibilità di alcuni. E l’insostituibilità è l’anticamera di una soluzione postdemocratica, se non attivamente antidemocratica.
Sento ripetere dal segretario del Pd Enrico Letta che del prossimo presidente della Repubblica si parlerà quando si presenterà la situazione, cioè nel momento in cui sarà aperto il seggio: è una forma di cecità assoluta. O di furbesco infantilismo: il tentativo di rinviare un problema drammaticamente presente per la vita democratica del paese. Oggi, non domani. Una cosa è certa, con la fine del settennato cessa la vita di questo governo. Per il nuovo governo si dovrà tornare alla Costituzione repubblicana della democrazia parlamentare.
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