- Oggi il free speech è bandiera della Destra americana, che però censura i libri nelle scuole, mentre la “Censura a fin di bene” non dispiace ai liberali che pure sono nati diffidandone. Entrambe le posizioni postulano che il social si riduca al, per loro lucroso, modello di Pasquino, che scindeva a Responsabilità dal Dire.
- Jack Dorsey, l’ex di Twitter, ora finanzia le app criptate che promettono all’utente l’invulnerabilità da ogni sorta di controllo; Raid Blackman, specialista e consulente di etica digitale ritiene sia impossibile che folle clandestinizzare gli individui nei confronti dei Governi che hanno per compito proteggerli.
- Peraltro il comunicare è faccenda misteriosa che sfugge ai protocolli di Tecnologie e Ministeri.
La Destra americana appare non solo conservatrice ma bigotta e reazionaria fino a praticare la strategia della tensione con l'uso pazzoide delle armi.
Per alimentare la gragnuola di parole divisive sventola la bandiera del free speech (la libera espressione) proprio mentre censura gli autori blasfemi nelle scuole.
Per contro i liberali americani lasciano libere le scuole, ma vogliono che i media siano “moderati” con pedagogica censura perché temono che, a forza di parlare con la pancia, l’uomo si faccia lupo rispetto al proprio simile.
Così l’apprezzamento della “censura progressista” traspare dagli opinionisti del New York Times e del Washington Post e dagli esperti di etica di Rete.
Del che non staremmo qui a parlare se non fosse che i social americani campano del traffico alla grossa, sia delle persone che dei robot, e s’affollano di anonimi.
Col che scompare la responsabilizzazione e il metterci la faccia, incentivo supremo a controllare quei brontolii di pancia che la moderazione, percepito il sentore, intende abbattere.
In Europa avremo prima o poi qualche alternativa ai social americani perché i Cinque Regolamenti dell’Unione (che nel corso di un anno diventeranno tutti operativi) ne hanno posto le premesse. Ma possiamo già guardare allo stato attuale del dibattito negli Stati Uniti per decidere il che fare, a partire dalle due argomentazioni più nitide ed opposte: il messianismo tecnologico e la virtù del governare.
Messianismo tecnologico
Il messianico è Jack Dorsey, il nerd barbuto che ha creato Twitter e dopo anni di stenti di bilancio l’ha venduto a Musk contro 44 miliardi e il 13 dicembre ha twittato in retrospettiva la confessione del suo “errore capitale”: buttarsi a fare l’editore che filtra quello che trasmette, così «sovraccaricando il potere dell’azienda» ed esponendola alle pressioni di politici e pubblicitari.
Esemplare il caso della sospensione dell’account di Donald Trump: una mutilazione del free speech che ha «danneggiato Internet e la società in generale».
Ecco perché, col senno di poi, non avrebbe investito in software e “moderatori”, ma in algoritmi che dessero agli utenti il modo di gestirsi da sé soli al riparo di una privacy criptata e inviolabile come quella della posta d’una volta e alla larga dalle varie Facebook che accumulano dati e rilanciano contenuti per spremere Internet come il classico limone.
Prima a riscuotere l’incoraggiamento di Dorsey è Signal, l’app di messaggistica criptata che non profila gli utenti, non mappa i gruppi, non archivia per sempre ogni messaggio e, anzi, fornisce un timer che lo elimina dagli account di mittente e destinatario.
Buon Governo
Del tutto diversa, nel New York Times di fine anno, la campana di Reid Blackman, “consulente di etica digitale per governo e azienda Usa”, cui pare improprio che in nome di una neutralità tecnica che incorpora abborracciate ideologie, i tecnologi s’impanchino a giustizieri contro governo e Imprese.
Perché, dice Blackman, se è vero che il governo di entrambi è difficile, scivoloso, e corruttibile, è comunque indispensabile che abbia gli strumenti, compresa l’intrusione, necessario per difendere la società dai malintenzionati.
Non per caso, la pillola velenosa che Blackman propina a Dorsey sta nel ricordare che l’Fbi ha incastrato parecchi complici dell’assalto al Campidoglio proprio grazie ai messaggi che, confidando nel criptaggio, si scambiavano su Signal.
Da che si trae che la tecnica non è in grado d’offrire nessun porto sicuro a criminali e compagnia e che, per l’eterogenesi dei fini, più app criptate ci saranno, più i sorveglianti sapranno stendervi le reti per acchiappare chi gli pare e lasciare gli altri in preda all’illusione di una privacy assoluta e che invece non può non essere trattabile.
La indomabilità del comunicare
Se il “provvidenzialismo tecnologico” di Dorsey è velleitario, la “libertà trattabile” di Blackman non scalda certo i cuori.
Meglio rifarsi il palato con l’infinita complessità del comunicare che sfugge ad ogni sistemazione d’algoritmo o galateo perché ognuno è l’algoritmo sedimentato di se stesso oltre che un Universo di umori non univoci, al pari delle particelle quantiche recondite nell’atomo.
Da questo disordine proviene ogni ordine mentale, e lì ritorna. Per perpetuare il proprio ciclo e rigenerarsi a dispetto di mani velleitarie o troppo sagge.
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