- Il 2022 ci lascia due lezioni sulla disuguaglianza: le differenze di reddito e stili di vita non sono una calamità naturale, ma una scelta politica.
- Si possono accentuare o ridurre, dipende come si usano le risorse pubbliche (debito incluso).
- La seconda lezione è che in Italia qualcosa si può fare, i poveri si possono proteggere senza che questo significhi diventare una repubblica socialista o senza far piangere i ricchi.
Un anno fa, proprio alla vigilia del 2022, avevamo promesso di occuparci molto di disuguaglianza, perché è il morbo silenzioso che ha infettato le nostre democrazie e le indebolisce dall’interno. In dodici mesi abbiamo pubblicato oltre cento articoli sul tema e decine di grafici, dunque ora è il momento dei bilanci. Che anno è stato per la disuguaglianza, soprattutto in Italia?
La tentazione è di cedere al pessimismo più sconfortato: c’è una destra al potere che sembra aver elevato la disuguaglianza a virtù morale e bussola nell’azione dei politica economica.
Chi lavora e produce non va disturbato, dunque meno tasse con la flat tax per gli autonomi fino a 85.000 euro, via le multe arretrate, più contanti, più voucher al posto dei contratti.
Chi invece è povero e non lavora deve espiare la sua colpa per essere una zavorra della società: e dunque l’accanimento sul reddito di cittadinanza, da togliere nei prossimi mesi, e i tentativi di costringere chi è ai margini ad accettare qualunque lavoro, come se il problema fosse che i poveri sono schizzinosi e non l’assenza di offerte.
Il governo Meloni poi si è posto a strenua difesa della rendita in tutte le sue forme, che si tratti di concessioni balneari, immobili che pagano tasse troppo basse o imprese spaventate dalla concorrenza internazionale.
Il miracolo del Pnrr non si sta realizzando: i dati sugli asili nido, tra i pochi disponibili, rivelano che 3.400 Comuni con mancanza di posti non hanno neppure partecipato ai bandi e che le regioni più virtuose come l’Emilia-Romagna si troveranno ad aumentare i posti disponibili sopra i livelli essenziali, Campania e Sicilia non arriveranno al minimo indispensabile neppure se completassero tutti i progetti possibili.
L’autonomia differenziata promessa a Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna potrebbe far esplodere i divari territoriali, specie se gestita da un governo di destra.
Bicchiere mezzo pieno
Eppure, per quanto sembri incredibile, il bicchiere non è soltanto mezzo vuoto ma è anche pieno a metà. L’Istat ci dice che nel 2022 l’indice di Gini che misura la disuguaglianza (0 minima, 100 per cento massima) è sceso dal 30,4 per cento al 29m6. Il rischio di povertà per le famiglie è passato dal 18,6 per cento al 16,8 per cento.
Merito di interventi di welfare come una riforma dell’Irpef, l’assegno unico per i figli a carico, le indennità una tantum per le bollette elettriche, da 200 e 150 euro, l’anticipo della rivalutazione delle pensioni.
Di fronte a uno dei grandi motori della disuguaglianza, cioè l’inflazione che colpisce i poveri molto più dei ricchi, l’Italia ha retto. Non certo grazie alle politiche del governo Meloni, che si è limitato a confermare per altri tre mesi gli aiuti sulle bollette.
Merito del governo Draghi, soprattutto, che è riuscito a sterilizzare o quasi l’impatto dell’inflazione sui poveri e poverissimi, secondo le simulazioni dell’Ufficio parlamentare di bilancio, mentre la classe media e i ceti più elevati si sono giustamente fatti carico di una gran parte dei rincari.
Il 2022 ci lascia due lezioni sulla disuguaglianza: le differenze di reddito e stili di vita non sono una calamità naturale, ma una scelta politica. Si possono accentuare o ridurre, dipende come si usano le risorse pubbliche (debito incluso).
La seconda lezione è che in Italia qualcosa si può fare, i poveri si possono proteggere senza che questo significhi diventare una repubblica socialista o senza far piangere i ricchi.
Che fare ora
I successi, per quanto parziali, di quest’anno sono importanti: secondo un report Ocse del 2021, gli italiani sono molto preoccupati dalla disuguaglianza ma pensano che non si possa fare nulla.
Sono convinti che i soldi pubblici vadano a chi non se li merita e non ne ha bisogno, e in parte è vero ma soltanto perché da noi in troppi sono esclusi dai necessari interventi di welfare (meno del 10 per cento dei trasferimenti va al 20 per cento più povero delle famiglie, contro il 25 per cento della media Ocse).
Invece la disuguaglianza si può combattere, anche in Italia, e i risultati ci sono. Ci vorrebbe una forza politica che si intestasse questa battaglia.
Pd e Movimento Cinque stelle hanno fallito, toccherà al partito ambientalista che si sta preparando come prossima tappa dei movimenti di questi anni? Lo vedremo nel 2023.
© Riproduzione riservata