- La monetizzazione dovrebbe avvenire in un quadro che preservi l’indipendenza della Bce e riduca il rischio di comportamenti opportunistici. La scelta dovrebbe venire dalla Bce e non da un’iniziativa di Consiglio e Commissione (e ancor meno di un singolo governo)
- La monetizzazione dovrebbe essere una tantum, e portare sullo stock di debito accumulato in seguito alla crisi
- Si dovrebbe monetizzare il debito di tutti i paesi dell’Eurozona, in proporzioni annunciate in anticipo.
Le ultime stime della Commissione prevedono che in seguito alla crisi del Covid il debito pubblico dell’Eurozona salterà dall’85 per cento del Pil al 101 per cento (dal 134 per cento ad almeno il 159 per cento per l’Italia). È un livello sostenibile? È una domanda cui rispondere è più difficile di quanto non si pensi.
In linea generale, se il tasso di crescita dell’economia non si discosta significativamente dal tasso di interesse medio sul debito, la sostenibilità del debito può essere garantita con moderati avanzi di bilancio primari (al netto degli interessi).
Ora, dal 2015 la Bce tramite i suoi massicci acquisti di titoli (il Quantitative Easing, Qe) ha tenuto bassi i tassi di interesse, garantendoci sonni tranquilli.
Dal marzo scorso poi, con il programma di acquisti legato alla pandemia, si è impegnata a comprare titoli pubblici per 1350 miliardi, un ammontare che con ogni probabilità sarà ulteriormente aumentato.
Ma l’ombrello della Bce non sarà aperto per sempre e i tassi di interesse prima o poi riaumenteranno. Per questo, tra gli economisti europei si discute la proposta della monetizzazione del debito, rilanciata anche in Italia dal presidente dell’Europarlamento David Sassoli.
È una questione spinosa, sia perché il concetto di monetizzazione è elusivo, sia perché divide economisti e politici in fazioni urlanti.
Cos’è la monetizzazione
La definizione più semplice di monetizzazione è l’acquisto di titoli da detenersi per una durata indefinita (potenzialmente per sempre) finanziato emettendo passività: o riserve (la banca centrale accredita i depositi delle banche commerciali presso di essa), oppure massa monetaria.
La monetizzazione si distingue dalle normali operazioni delle banche centrali per la sua durata (i titoli acquisiti vengono “dimenticati” nella pancia della banca) e per lo scopo: all’obiettivo di regolare inflazione e attività economica si sostituisce quello di alleviare l’onere del debito per il Tesoro.
Quali sono costi e benefici della monetizzazione? Dipende. Se la banca centrale acquista titoli dalle banche commerciali accreditando i loro conti (creando riserve, insomma), tiene bassi i tassi d’interesse sul debito rendendolo quindi sostenibile, ma l’obbligo per il governo di rimborsarlo alla scadenza rimane.
Inoltre, le riserve delle banche non sono moneta. La moneta è principalmente creata dall’attività creditizia delle banche, che accreditano i conti dei propri clienti fornendo loro mezzi di pagamento (moneta bancaria, appunto).
Ora, anche se esiste un legame tra le riserve delle banche presso la banca centrale e la quantità di credito da esse erogate, esso non è stabile; soprattutto in periodi di stagnazione dell’attività economica la creazione di riserve non si traduce meccanicamente in un aumento dell’attività creditizia e quindi della massa monetaria.
È per questo che il Qe pur tenendo sotto controllo gli spread ha fallito nel rilanciare crescita e inflazione: sono aumentate le riserve ma non la quantità di moneta.
Con l'elicottero
Per rendere il debito sostenibile e al contempo aumentare la massa monetaria la banca centrale potrebbe accreditare direttamente il conto del Tesoro presso il proprio sportello e questo si impegnerebbe a trasferire un ammontare equivalente a consumatori e imprese.
È la moneta elicottero, direttamente immessa nell’economia, che ha tra i suoi fautori Milton Friedman. Rispetto alla creazione di riserve, questa monetizzazione “in senso stretto” salterebbe l’intermediazione delle banche e avrebbe un impatto diretto sul reddito. Le banche centrali riuscirebbero così, infine, a riportare l’inflazione a livelli più elevati.
Variazioni su questi schemi di base potrebbero prevedere l’emissione di titoli perpetui non fruttiferi e irredimibili, che renderebbero più credibile il carattere permanente della monetizzazione, o la cancellazione dei titoli incamerati; questa provocherebbe una perdita.
Una banca centrale tuttavia può, entro certi limiti, tranquillamente operare con un capitale negativo.
Il costo nascosto
Quali sono i potenziali problemi? Primo, la moneta immessa nel sistema potrebbe provocare inflazione una volta che l’economia sarà ripartita. A quel punto la banca centrale potrebbe non riuscire a ridurre la massa monetaria in circolo e a contrastare l’aumento dei prezzi.
Secondo, il governo anticipando la monetizzazione potrebbe agire in modo irresponsabile, forzando la banca centrale a intervenire per evitarne la bancarotta.
La monetizzazione quindi non sarebbe più liberamente scelta, ma obbligata; l’indipendenza della banca centrale verrebbe meno, il pubblico potrebbe perdere fiducia nella moneta e l’inflazione esplodere.
Si tratta di limiti importanti alla monetizzazione come strumento ordinario. Ma il lettore di buon senso si renderà conto che nelle condizioni attuali di crescita anemica (che dureranno a lungo) si tratta di rischi remoti.
Inoltre, i trattati pongono paletti (spesso eccessivi) alle derive dei governi e proteggono la Bce da indebite pressioni.
Questo rende alquanto improbabili le derive inflazionistiche di cui si parla a sproposito in questi giorni. La poca credibilità di chi invoca scenari venezuelani non deve tuttavia far perdere di vista i rischi, che rimangono reali.
La monetizzazione dovrebbe avvenire in un quadro che preservi l’indipendenza della Bce e riduca il rischio di comportamenti opportunistici. Tre elementi sembrano imprescindibili:
1) La scelta dovrebbe venire dalla Bce (la cui indipendenza in questo caso ci verrebbe in soccorso) e non da un’iniziativa di Consiglio e Commissione (e ancor meno di un singolo governo)
2) La monetizzazione dovrebbe essere una tantum, e portare sullo stock di debito accumulato in seguito alla crisi: una misura eccezionale, insomma, che non ipoteca in alcun modo le politiche ordinarie (comprese quelle di contrasto ad un’ipotetica inflazione futura)
3) Si dovrebbe monetizzare il debito di tutti i paesi dell’Eurozona, in proporzioni annunciate in anticipo.
Nelle condizioni attuali, una qualche forma di monetizzazione, disegnata con cura per minimizzarne i rischi, sembra di gran lunga preferibile ad un lungo periodo di lacrime e sangue che finirebbe per dare il colpo di grazia ad un’economia europea che ristagna da ormai dieci anni.
Oggi non occorre domandarsi se monetizzare, ma come farlo. Lasciare il monopolio di questo dibattito agli euroscettici è un errore imperdonabile.
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