- Le Intelligenze Artificiali “conversative” si presentano agli esami nelle scuole di business, diritto, medicina e provocano titoli estatici nei media.
- Ma chi sa come contro interrogarle, scopre che sono studenti ottusi, pieni zeppi di nozioni, ma privi di “visione”.
- La causa risale alla trappola del linguaggio, che per l’AI è il mondo mentre per l’Uomo è la barchetta mossa dal mare emozionale sottostante
ChatGTP sembra il Mike Bongiorno nel suo genere perché si propone a misura dell’utente: un poco pasticciona, ma molto servizievole, resa umana dagli sbagli che combina. Che sia aurea mediocritas o mediocrità senza brillio lo capiremo nel futuro.
Intanto Microsoft bada al sodo e la sposa col Bing per soffiare a Google la posizione di motore di ricerca predefinito (all’accensione del computer) che vale decine di miliardi, per non dire della minaccia di inaridire il traffico verso i siti “linkati” rendendone inutile la consultazione a colpi di risposte belle e fatte.
Basterebbe molto meno di una intelligenza artificiale (IA) “umanizzata” e coinvolta nella riffa dei miliardi per suscitare la spasmodica attenzione dei mass media, ma il culmine s’è raggiunto quando ChatGTP è stata promossa, seppure ai limiti della sufficienza, agli esami della scuola media e medio superiore!
Siamo dunque alla prova provata che l’allievo è davvero “intelligente” e che se si applicasse maggiormente potrebbe molto migliorare?
I contro esami di Melanie Mitchell
A stroncare gli entusiasmi e le paure tornano utili le provvidenziali analisi di Melanie Mitchell che il tema dell’IA lo padroneggia per professione, come docente e per averne scritto già nel 2019 un libro (L’Intelligenza Artificiale) tanto chiaro quanto completo e illuminante.
Dal suo blog apprendiamo che quello della «IA misurata con gli esami della scuola» è un rito già provato nel 2019 da una IA colloquiante chiamata Aristo che superò l’80 per cento dei test.
Ma proprio Mitchell sottopose allora Aristo alla controprova dimostrando che il suo sapere consisteva nel selezionare tra tante risposte e relative statistiche in memoria, quella più probabile rispetto ad ogni test.
Un esercizio talvolta giusto, altre sbagliato, ma comunque da archivista automatico tant’è che andava in crisi quando l’esaminatore scombinava le carte riproponendo con cambi non sostanziali un quiz cui aveva in precedenza già risposto senza fallo.
Segno che mancava l’“intelligenza generale”, quella che vede al di là del naso senza perdersi in dettagli perché afferra quanto c’è di comune fra situazioni per molti aspetti differenti.
Identica nei giorni scorsi la prova e la performance di ChatGTP, nonostante i quattro anni di progressi e i miliardi che l’hanno strutturata e alimentata nel frattempo.
Le IA nella trappola del linguaggio
Se ne ricava che in sostanza la capacità delle AI è immensa, ma l’intelligenza è zero, e non perché la scintilla divina non possa in quanto tale passare dall’umanità a un insieme di cavi e di ferraglia, ma perché, a differenza dell’essere umano, l’intelligenza artificiale è davvero intrappolata nel linguaggio, che nasce distaccando comunicazione ed emozione, ma coproduce il senso in tutt’uno con quanto, consciamente o inconsciamente, sta dietro le parole.
Anzi, l’intelligenza artificiale, poveretta, è in trappola due volte perché non solo conosce solo le parole “dette” e le sfugge tutto il resto, ma è anche costretta alla “digitalizzazione” che non sa cosa sia l’infinito delle mezze misure e sfumature.
Non per nulla s’è riaperto da tempo e non solo per il feticismo dei nostalgici, il mercato del vinile che riproduce la musica senza ridurla a fette campionate e digitali.
Detto questo, la capacità di smuovere dati a migliaia di miliardi è davvero importante, almeno quanto il possesso del fuoco, l’invenzione della ruota e l’addomesticamento del cavallo. Tutto sta, per non confondere le idee, chiamarla non Intelligenza Artificiale, ma Artificio Intelligente.
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