La scorsa settimana hanno avuto ampia circolazione i risultati di una rilevazione del Censis riguardo il livello di adesione in Italia a una serie di affermazioni presentate come "irrazionali".
Dai risultati, il Censis desume che l’irrazionale – definito come «il sonno fatuo della ragione, una fuga fatale nel pensiero magico, stregonesco, sciamanico, che pretende di decifrare il senso occulto della realtà» - sarebbe in forte espansione nella società italiana, e tale espansione costituirebbe una risposta al fallimento di «aspettative soggettive» (ascesa e mobilità sociale, miglioramento della qualità della vita, etc) prodottosi in trent’anni di declino e stagnazione.
«È tutto complottismo»
Al di là dei suoi risultati, ad essere interessanti sono i presupposti di tale rilevazione, come molte delle reazioni che ne sono seguite, perché illustrano perfettamente i rischi del cosiddetto "complottismo" quale quadro cognitivo prevalente per spiegare una quantità crescente di fenomeni sociali.
Sempre più spesso sotto l'etichetta "complottismo", si raccolgono sia affermazioni estreme e inequivocabilmente infondate quali "la terra è piatta" – che nella rilevazione del Censis ottiene l’adesione del 5 per cento degli intervistati – sia manifestazioni del pensiero critico nei confronti dell’organizzazione sociale e dei suoi assetti di potere (e talvolta perfino manifestazioni molto sofisticate, e pienamente scientifiche).
È significativo che sempre nella rilevazione del Censis la vasta adesione degli intervistati, anche fra i laureati, ad affermazioni quali «Il potere reale in Italia è concentrato nelle mani di un gruppo di potenti: alti burocrati, politici, uomini d’affari» oppure «le grandi multinazionali sono responsabili di quello che ci accade» sia presentata come egualmente “irrazionale”, figlia – scrive sempre il Censis – di una forma di «neo-cospirazionismo dietrologico».
Queste affermazioni sono chiaramente formulate in un registro vagamente “anti-casta”, ma difficilmente si può affermare abbiano un rapporto con la verità fattuale paragonabile a quello dell’affermazione “La terra è piatta”. L’idea che il potere si concentri in reti che mettono assieme determinati attori, interessi e risorse oppure che le grandi imprese multinazionali – si pensi alle Gafa, le grandi società big tech – abbiano un ruolo crescente (e per molti, nella comunità scientifica, fonte di squilibri rilevanti nel funzionamento delle democrazie e degli stessi meccanismi di mercato) non possono essere ricondotte alla medesima «epidemia dell’irrazionalità» che preoccupa i commentatori.
Si può certo discutere della fondatezza dell’allarme riguardo l’esistenza di una minoranza di accaniti “terrapiattisti”, e da questo punto di vista è importante ricordare che, limitandoci alla cronaca, i livelli di adesione alla campagna vaccinale sono stati in Italia elevatissimi, a dimostrazione del profondo radicamento della “razionalità” su tale fronte.
Ma la cosa più importante sui cui riflettere è che l’avanzata del complottismo” come discorso generalizzato indica qualcosa di più profondo, ovvero una significativa mutazione dello statuto del pensiero critico nel discorso politico italiano. E nel rapporto fra determinati gruppi sociali e tale pensiero critico, considerato (o non considerato) come una risorsa per legittimare il proprio ruolo “dirigente” nei confronti del resto della società.
A giudicare dal discorso di chi più intensamente ed estensivamente lo denuncia il “complottismo”, al rischio di irrazionalità sarebbero esposti non solo i “terrapiattisti” ma anche le scienze sociali che elaborano teorie critiche che dell’organizzazione sociale svelando concentrazioni e asimmetrie di potere, di risorse e di influenza.
E a rischio sarebbe la stessa pratica politica democratica, che congenitamente si articola attorno alla denuncia di quelle asimmetrie e diseguaglianze, e ad un qualche progetto più o meno progressivo per superarle.
Apologetici e apocalittici
Gli anni che viviamo sembrano dominati da una crescente polarizzazione fra “apologetici” e gli “apocalittici”, ovvero fra quei gruppi sociali secondo i quali «tutto il reale è razionale» e quelli che invece si sono via via persuasi che la realtà per come rappresentata sia invece il frutto di oscure macchinazioni.
La continua denuncia dell’ignoranza delle masse e del conseguente “complottismo”, da parte di chi viceversa disporrebbe di una legittimazione “a parlare” prevalentemente in virtù dei titoli di studio, è venuto a rappresentare una sorta di revanchismo dei ceti medi e superiori, un revanchismo che fra i tanti di quest’ultimo decennio è stato forse il meno studiato.
Per le parti più vulnerabili ed esposte di questi ceti, il Censis avrebbe peraltro ben ragione a parlare di “aspettative soggettive” andate deluse come fattore potente di tale revanchismo. Difficile stabilire se sia nato prima l’uovo o la gallina, ma altrettanto difficile non vedere che l’ascesa del “complottismo” (e dei progetti politici che con esso giocano, più o meno direttamente) sia andata di pari passo con il declino di una critica democratica del potere e dell’organizzazione sociale, sia nella politica sia nella società.
Che nelle rappresentazioni di molti tutto ciò che non è apologia del presente stia diventando “terrapiattismo” è un segno potente del degrado politico e culturale nel quale versa la nostra democrazia. Una democrazia nella quale una parte crescente dei gruppi sociali in posizione dirigente ha largamente rinunciato alla propria responsabilità di diffondere gli strumenti del pensiero critico, permettendo così ad altri gruppi sociali di rifugiarsi in facili credenze che scambiano questioni critiche che afferiscono all’organizzazione sociale con l'esistenza di complotti deliranti privi di riferimenti fattuali.
La domanda fondamentale è cosa rimane della democrazia in tali condizioni. Qualcosa di molto profondo hanno in comune gli apologeti e gli apocalittici, e per questo vicendevolmente si sostengono: chiudono la porta ad un discorso, concreto e praticabile, sul cambiamento.
O il pensiero critico saprà creare uno spazio politico nuovo, alternativo sia all’apologia sia all’apocalittismo, tale da rappresentare un orizzonte di senso per vasti gruppi sociali oppure la strada del declino della nostra democrazia sarà ancora lunga.
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