- È scaduto ieri, 11 aprile, il termine per impugnare il Pitesai (Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee) approvato con decreto del Mite nel dicembre 2021 e pubblicato lo scorso 10 febbraio sul sito web del ministero.
- Il Pitesai voluto soprattutto da governo e regioni ha fatto tutt’altra cosa: al di là delle definizioni di facciata, il piano è di impedimento assoluto a nuove attività di ricerca unicamente in regioni prive di interesse minerario ed in aree interdette per legge alle trivelle ben prima dell’approvazione del piano.
- La zonizzazione presente nella cartografia del Pitesai è fuorviante: la ripartizione tra aree idonee ed aree inidonee è solo fittizia giacché non si esclude a priori che si possa cercare ed estrarre gas anche nelle seconde.
È scaduto ieri, 11 aprile, il termine per impugnare il Pitesai (Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee) approvato con decreto del Mite nel dicembre 2021 e pubblicato lo scorso 10 febbraio sul sito web del ministero.
Secondo la legge votata dal parlamento – l’ormai famoso art. 11ter della legge 11 febbraio 2019 n. 12 – il piano avrebbe dovuto individuare le aree idonee e quelle non idonee per la ricerca e la successiva estrazione di gas e petrolio.
Il Pitesai voluto soprattutto da governo e regioni ha fatto tutt’altra cosa: al di là delle definizioni di facciata, il piano è di impedimento assoluto a nuove attività di ricerca unicamente in regioni prive di interesse minerario ed in aree interdette per legge alle trivelle ben prima dell’approvazione del piano.
La zonizzazione presente nella cartografia del Pitesai è fuorviante: la ripartizione tra aree idonee ed aree inidonee è solo fittizia giacché non si esclude a priori che si possa cercare ed estrarre gas anche nelle seconde.
È illusorio anche pensare che il previsto rigetto delle istanze di ricerca con più di dieci anni di vita (nel Buig di marzo si contano 37 provvedimenti di rigetto) risponda alla necessità di una valutazione ambientale più rigorosa perché così non è: quelle aree momentaneamente liberate torneranno nella potenziale disponibilità delle compagnie fossili che potranno presentare nuove istanze di ricerca in quelle stesse aree, con buone chance di accoglimento da parte del Mite che all’occorrenza potrà far prevalere l’interesse economico su ogni altra considerazione di carattere ambientale e sociale.
Dopo la “Caporetto” di regioni, Upi e Anci in conferenza unificata, è toccato così ad alcuni Comuni, spinti e sostenuti dal coordinamento nazionale No Triv, fare argine contro gli appetiti delle compagnie Oil&Gas. Appartenenti a regioni esposte al rischio “trivelle” (Basilicata, Sicilia, Campania, Abruzzo e Piemonte), si sono affidate ad un noto studio legale di Roma ed al costituzionalista Enzo Di Salvatore per “confezionare” un ricorso al Tar del Lazio, che è stato depositato per tempo.
I ricorrenti confidano nell’annullamento del decreto ministeriale 28 dicembre 2021 con cui il ministro Cingolani ha approvato il Pitesai, che potrebbe segnare l’avvio di un rapido percorso verso lo stop immediato a ogni nuovo progetto fossile – stop necessario per evitare il disastro climatico – così come caldamente raccomandato dall’Agenzia Internazionale dell’Energia e verso una nuova strategia energetica e climatica ancor più centrata su efficienza energetica, rinnovabili e mobilità elettrica.
Secondo le associazioni Elettricità Futura (Confindustria) ed Italia Solare potremmo installare in un solo anno 20 GW di rinnovabili; con 60 GW in tre anni saremmo in grado di tagliare le importazioni di gas di 15 miliardi di metri cubi, più della metà del gas sporco di sangue che importiamo ogni anno dalla Federazione russa e sette volte quanto il governo punta a far estrarre in mare e su terra ferma con il dl Energia.
Perché non lo abbiamo fatto finora? Perché probabilmente non riusciremo a farlo? Entrambe le domande andrebbero poste al presidente del Consiglio, al suo ministro Cingolani nonché ai loro predecessori, molti dei quali non per caso sono schierati a favore del rilancio delle estrazioni di gas.
Il “no” dei Comuni al Pitesai costituisce un’occasione per ripensare, nei contenuti e nei tempi di attuazione, l’intera strategia energetica e climatica dell’Italia: il Pniec ed anche il Pnrr fanno riferimento a situazioni che hanno conosciuto profonde e drammatiche trasformazioni e devono essere ricalibrati. Abbiamo necessità di innalzare il nostro grado di ambizione climatica per evitare pesanti ripercussioni sul Pil (tra -1,7 e -3,7 per cento l’anno) e per riscattare un decennio di inerzia e di irresponsabile adagiamento sulle comode –e per qualcuno anche lucrose- importazioni di gas russo.
Il tempo a disposizione è abbondantemente scaduto ed è ora di far presto e bene, forti della consapevolezza che il gas dovrà accompagnarci nel percorso verso l’obiettivo “emissioni zero” solo per un brevissimo tratto.
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