- Le informazioni ci aiutano a farci fare scelte oculate, a decidere che cosa, se, quando, come fare.
- Hanno per questo un impatto diretto sui comportamenti. Chi raccoglie e trasmette dati al pubblico ha un potere notevole. E deve riuscire a immaginare figurativamente i probabili effetti (a prevedere rischi calcolati).
- Da quasi due anni viviamo accompagnati quotidianamente dal numero ufficiale dei contagi da Covid-19 e dei decessi. Per mesi, i numeri ci hanno detto immediatamente che cosa era opportuno fare o non fare, giustificando la funzione emergenziale del governo.
Le informazioni ci aiutano a farci fare scelte oculate, a decidere che cosa, se, quando, come fare. Prima che sulla ragione agiscono sulle emozioni; stimolando paura e speranza ci incentivano a fare o a desistere dal fare. Hanno per questo un impatto diretto sui comportamenti. Chi raccoglie e trasmette dati al pubblico ha un potere notevole. E deve riuscire a immaginare figurativamente i probabili effetti (a prevedere rischi calcolati).
Da quasi due anni viviamo accompagnati quotidianamente dal numero ufficiale dei contagi da Covid-19 e dei decessi. Per mesi, i numeri ci hanno detto immediatamente che cosa era opportuno fare o non fare, giustificando la funzione emergenziale del governo. I dati governano tutti, anche chi governa. Devono, quindi, essere uno specchio fedele della condizione della lotta alla pandemia. Prima del febbraio del 2021, i dati di contagi e decessi parlavano di una società che subiva il Covid.
Cosa è cambiato
Ci dicevano che per non soccombere dovevamo evitare di muoverci e interagire. Ma a partire dalla diffusione dei vaccini, l’ambiente che i dati devono fotografare è cambiato. E lo è soprattutto ora, quando la larghissima maggioranza ha avuto due somministrazioni e molti anche la terza dose. Quindi, la trasmissione dei dati e le analisi devono riflettere questa complessità. Ovvero dirci il numero dei contagi, dei ricoveri in terapia intensiva e dei decessi; e poi, per ciascuno di questi gruppi, dirci quanti sono i vaccinati e con quante dosi in ciascun caso.
I dati devono registrare questo nuovo contesto, che non è solo di pandemia ma di pandemia in un regime di vaccinazione di massa. I soli dati sui contagi sono imprecisi e sono un allarme controproducente. Infatti, il contagio non ha gli stessi effetti sui vaccinati e sui non vaccinati. Inoltre, senz’altra specificazione, i dati sul numero dei contagi che cresce ogni giorno manda un segnale disincentivante: se ci si contagia comunque, perché vaccinarsi?
Omicron e i dati
I dati disarticolati sarebbero più corretti e anche più funzionali. Soprattutto, eviterebbero di gettarci nello sconforto come facilmente può succedere con i numeri dei nuovi contagi a causa della galoppante variante Omicron. E manderebbero un messaggio esplicito a chi non si vuole vaccinare: su di loro cade la responsabilità di monopolizzare l’azione degli ospedali e quindi di compromettere la cura delle persone affette da altre patologie.
Articolare sistematicamente i dati sulle terapie intensive e i non-vaccinati invece che sui contagi genericamente, toglierebbe ossigeno ai No-vax, a quella minoranza vocifera che egemonizza l’audience quotidiana. Mai una minoranza ha avuto e ha tanta presenza pubblica, tanto peso mediatico, tanto potere di travisare i dati. La maggioranza è nel giusto, e i dati lo dimostrano. Perché non darle più spazio? Perché non brandirla come prova concreta del fatto che vaccinarsi è un modo, l’unico, per convivere col Covid senza soccombere?
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