- La Commissione europea ha presentato il pacchetto di riforma Fit for 55, il piano per trasformare il Green Deal e la decarbonizzazione in azione concreta.
- Stop alle auto inquinanti dal 2035 ed estensione del mercato ETS, i permessi per emettere gas serra, a trasporti privati e riscaldamento. Vuol dire potenziali costi sui cittadini, per questo motivo (e per scongiurare l'effetto «gilet gialli») von der Leyen e Timmermans hanno insistito che sarà un piano equo e che nessuno ridurrà indietro: previsto un fondo da 144 miliardi di euro di aiuti e incentivi.
- L'altra grande novità è il Cbam, la carbon tax doganale per evitare la delocalizzazione delle emissioni e la concorrenza sleale verso le aziende europee: non piace a nessun partner dell'Europa, sarà uno stress test per la leadership globale.
La Commissione ha illuminato la sua facciata di verde e ha scelto il giorno rivoluzionario europeo per eccellenza, il 14 luglio, per presentare tutta l'enfasi del caso il pacchetto di riforme “Fit for 55”, «pronti per il 55». È un nome buffo (c'è chi lo ha paragonato a un corso di yoga) per una riforma epocale, secondo il vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans, di portata pari al mercato unico o all'introduzione dell'euro. Dei piani climatici dell'Unione europea che conosciamo bene il «cosa», il Green Deal, la riduzione delle emissioni di gas serra di almeno 55 per cento entro il 2030 e l'obiettivo zero netto per il 2050. A Bruxelles Ursula von der Leyen, Frans Timmermans e Paolo Gentiloni hanno spiegato la parte più delicata: il come.
Nella rincorsa di bozze e leak che avevano preparato il campo alla conferenza aleggiava una figura metà spettro e metà soggetto politico: il gilet giallo francese. C'è un intero modello condizionato dentro questo riforma, con l'Europa che ambisce a essere il primo continente climate neutral del mondo e un esempio globale di leadership, ma l'architettura di “Fit for 55” avrà un costo per i cittadini, infinitamente inferiore a quello di una crisi climatica ma più immediato, tangibile e manipolabile a scopi politici. È per questo che presidente e commissari hanno dato l'impressione di camminare sul ghiaccio sottile, per rimanere in tema di cambiamento climatico.
«Dobbiamo mettere l'equilibrio sociale al centro di questa trasformazione», ha promesso von der Leyen, perché sa bene che il progetto europeo di decarbonizzazione andrà a incidere sul prezzo dei trasporti e sulle bollette. «Nessuno deve essere lasciato indietro», ha aggiunto Timmermans, che in un moto di sincerità, quasi ridendo, ha pure detto: «Niente di tutto questo sarà facile, anzi, sarà maledettamente difficile».
Il pacchetto si articola in dodici proposte, che vanno dalla strategia forestale ai trasporti marittimi, ma le principali novità sono quattro. La prima è la creazione di un nuovo mercato Ets, l'emission trading system, il mercato dei permessi per rilasciare emissioni di CO2, che si tratta di energia e grande industria. Il nuovo schema includerà il riscaldamento degli edifici (il 40 per cento del consumo energetico) ei trasporti su strada (le cui emissioni generano ad aumentare), è una misura che aumenterà tariffe e aumenti in modo regressivo, andando a raggiungere i cittadini più vulnerabilità e piccole imprese.
È per modificare questo effetto che la Commissione ha presentato un fondo sociale per il clima, un fondo sociale condizionato, che dovrà sostenere in modo diretto (con supporto al reddito) e indiretto le fasce sociali più colpite, mobilitando fino a 144 miliardi di euro in un reddito. Il fondo è la risposta a quello spettro che nessuno ha menzionato ma tutti in Commissione hanno presente, il gilet jaune , col populismo pronto a soffiare sulla transizione ecologica come ha fatto nell'ultimo regola su diritti e migranti. Anche la terza grande novità ha a che fare con i su strada: c'è una data di scadenza per la produzione di auto a diesel o benzina, il 2034. Dal 2035 tutti i nuovi mezzi privati essere a zero emissioni.
Il dazio
L’ultimo grande pezzo della riforma era stato già evocato al G20 finanze di Venezia ed è un altro grande rischio che si prende l’Unione: il Cbam. È una sigla che impareremo a conoscere, carbon border adjustement mechanism, e ha il potenziale di incrinare i rapporti tra Europa e resto del mondo. È il dazio doganale imposto a prodotti come acciaio, alluminio, cemento, fertilizzanti al loro ingresso nel mercato europeo, la carbon tax che non piace a nessun partner dell’Unione europea.
Il Cbam serve a evitare la delocalizzazione delle emissioni e la concorrenza sleale a danno delle imprese europee di chi produce in paesi senza prezzo per il carbonio e regole più rilassate sulle emissioni, potendo quindi fare dumping climatico e prezzi più bassi. Col Cbam non sarebbe più possibile: il piano è implementarlo gradualmente dal 2023 e non sarà facile. Stati Uniti, Russia, Cina, India sono contrari, con varie gradazioni di asprezza, e c’è da passare il vaglio dell’Organizzazione mondiale del commercio. Sarebbe un cambio di paradigma totale, è stato Gentiloni a presentare la misura, dicendo: «Chi si muove in anticipo ha dei vantaggi, ma corre anche dei rischi». Sarà anche un test interessante sulla capacità dell’Europa di imporre la sua visione e la sua leadership.
D’altra parte, von der Leyen ha detto: «L’Europa è pronta a guidare la strada». Non sarà un percorso facile o breve, il viaggio di “Fit for 55” è solo cominciato. «Ci saranno paesi dell’Unione a cui non piaceranno parti del pacchetto, parliamone», ha aperto Timmermans, ma con una clausola: «Gli obiettivi di riduzione delle emissioni sono legge e non sono negoziabili, se qualcosa non vi piacerà, dovrete portarci alternative che ci permettano gli stessi risultati». Si ballerà. La grande missione dell’istituzione oggi ruota però intorno a una sola parola: giusto, equo. Ancora Timmermans: «Dovremo riuscire a far capire che questo è un piano equo. Se faremo passare questo messaggio, andrà tutto bene, altrimenti incontreremo grandi resistenze». Ed è un eufemismo.
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