La prossima legislatura sarà, molto probabilmente, un’altra legislatura persa sul fronte del miglioramento della concorrenza nel paese. La consegna è però quella di parlare delle cose che andrebbero fatte per cui, senza indugi ma anche senza grosse speranze, passiamo all’elenco delle cose da fare.
Premetto che non c’è nulla di particolarmente eccitante, niente che possa destare le passioni di grandi masse dell’elettorato. Anche questa non è una novità, in questo campo le passioni forti, perfino furibonde, sono limitate alle categorie che verrebbero toccate dai provvedimenti di liberalizzazione. La lista dei settori che beneficerebbero da un aumento della concorrenza è lunga e non può essere esaurita in un articolo di quotidiano. Mi soffermerò pertanto solo su due temi: il ruolo delle aziende municipalizzate e dei servizi locali e il ruolo della Cassa depositi e prestiti.
Da ottomila a mille
Il settore delle municipalizzate è stato uno dei meno toccati dalla fase delle liberalizzazioni che ha caratterizzato gli anni Novanta. Il “capitalismo municipale” continua a essere vivo e vegeto e ha assunto varie forme. I tentativi di intervento sono stati molteplici e si sono concentrati su due aspetti principali.
Il primo riguarda la numerosità di tali enti e il loro costo; è quindi, in un certo senso, più materia di contenimento dei costi che di promozione della concorrenza. Nel tempo vi sono stati molteplici tentativi di intervento. Uno tra i più (relativamente) recenti ebbe luogo quando Carlo Cottarelli ricoprì la carica di commissario governativo alla spending review, e presentò un piano per ridurre il numero delle partecipate da ottomila a circa mille.
Quel progetto, al pari di quelli precedenti, fallì e le cause del fallimento non sono in alcun modo misteriose. Al pari della resistenza delle categorie che si oppongono alla liberalizzazione dei propri settori, si è assistito alla resistenza (molto spesso silenziosa e dietro le quinte) di buona parte dei politici che operano negli enti locali, tipicamente attentamente ascoltati dai parlamentari e dirigenti nazionali dei partiti.
Quali sono i provvedimenti concreti che andrebbero assunti? Non c’è veramente bisogno di inventare nulla di nuovo.
Le proposte di Cottarelli in gran misura non sono state attuate e sono quindi tuttora attuali. Giusto per fare un esempio particolarmente significativo si può citare l’adozione dei costi standard. È questo un oggetto del desiderio che ha sempre aleggiato nelle discussioni sulla finanza locale, non solo riguardo alle aziende municipalizzate. Non si tratta di provvedimenti particolarmente complicati e non ci sono grossi ostacoli tecnici, almeno che io sappia.
Ma, come già detto e come è stato storicamente osservato, è abbastanza scontato che i provvedimenti in questo campo incontreranno resistenze insormontabili.
Atac protetta
Il secondo punto, per quanto riguarda il settore delle municipalizzate, riguarda la messa a gara di vari servizi, a cominciare dai servizi di trasporto pubblico locale. I problemi in questo settore sono ben esemplificati dalla situazione di Roma, dove Atac continua a godere di una posizione protetta che è stata mantenuta, e continua a essere mantenuta, dalle amministrazioni locali di ogni colore politico. Un tentativo di promuovere la messa a gara del servizio pubblico mediante un referendum locale è fallito grazie all’apatia degli elettori, che in grande maggioranza non hanno partecipato al voto.
Eppure è chiaro a chiunque lo voglia vedere che solo una effettiva contendibilità dell’appalto per l’erogazione del servizio di trasporto pubblico locale potrebbe generare sia un migliore servizio sia un abbassamento dei costi. Dato che le autorità locali sembrano essere catturate dagli interessi delle imprese locali, solo un intervento centrale può generare maggiore concorrenza e guadagni di efficienza.
Anche in questo caso non c’è da inventarsi nulla, i possibili interventi sono stati discussi per lungo tempo e sostanzialmente senza alcun risultato pratico. Anche la legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021 (si veda il recente dossier del servizio studi della Camera dei deputati) contiene «disposizioni volte a dare seguito all’intenzione legislativa – emersa a più riprese nel recente passato – di mettere a regime il sistema dell’affidamento mediante procedure di pubblica evidenza nel trasporto pubblico locale». Basterebbe, in questo caso, essere coerenti e assicurarsi che le gestioni dei trasporti locali vengano messe periodicamente a gara.
L’altro tema che vorrei toccare in questo articolo è, in qualche misura, anche più semplice in termine delle proposte sul “che fare” e riguarda il ruolo assunto dalla Cassa depositi e prestiti. Qui la proposta è, semplicemente, di evitare nuove iniziative. La Cassa è, da almeno una ventina d’anni, l’istituzione preferita di chi spera di ricostituire le Partecipazioni statali e ridare al potere politico un ruolo di primo piano nella gestione diretta di pezzi importanti dell’industria nazionale (un ruolo, è bene sottolinearlo, completamente distinto dal ruolo regolatorio che è normale in una economia moderna).
Anche questo disegno è stato sostanzialmente trasversale, iniziando con Giulio Tremonti e arrivando fino ai giorni nostri con la costituzione di un fondo di 44 miliardi (il fondo Patrimonio rilancio) che permetterà al potere politico di investire selettivamente in varie imprese di gradimento. Qua la cosa da fare è semplice: niente, evitando che gli investimenti industriali vengano usati come strumento per l’acquisizione del consenso.
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