È probabile che l’imminente voto per il rinnovo del parlamento europeo sia il più importante che l’Unione abbia affrontato dalla sua fondazione. Le pressioni geopolitiche sembrano così determinate a rendere marginale il vecchio continente da far temere che le prossime possano essere le ultime consultazioni in cui i cittadini europei potranno decidere del proprio governo.

Un pensiero pessimista certo, ma, di fronte all’innegabile crisi dell’autorità della Ue, sarebbe giusto pretendere che i membri del parlamento in scadenza, e coloro che sgomitano per entrarvi, siano impegnati giorno e notte al fine di rilanciare il posizionamento dell’Unione a livello globale. In effetti, a leggere i documenti approvati dall’ultima sessione dell’assemblea comunitaria (Strasburgo, 25 aprile), l’impressione di un’Europa determinata a riaffermare il proprio ruolo internazionale ne esce corroborata.

Tra le diverse ratifiche di bilancio e gli incentivi per le emissioni zero, il parlamento si è espresso per condannare le repressioni del governo dell’Azerbaigian, le mutilazioni femminili in Gambia, la svolta autoritaria della Georgia, l’attacco iraniano a Israele, l’ingerenza russa nelle elezioni continentali e la nuova legge di sicurezza in vigore a Hong Kong.

Ognuno di questi atti è meritevole e legittimo, si intende. Ciascuno ribadisce l’impegno dell’Ue contro chi calpesta i diritti fondamentali degli individui. Ma ognuno è destinato a rimanere esattamente ciò che è: parole sulla carta.

La distanza

È l’evidenza di un’Europa sempre più incapace di riconoscere la distanza che passa tra la sua concezione del mondo e come il resto del pianeta vede sé stesso.

Ciò che più inquieta di questo scollamento è come, ogni volta che ci scopriamo impotenti di fronte a ciò che accade, rinnoviamo il nostro impegno non attraverso la forza diplomatica, economica o perfino militare, ma manifestando valori sempre più universali e idealizzati.

Come se declamare nei parlamenti e nelle piazze la nostra concezione del bene fosse di per sé sufficiente a rimuovere il male, permettendoci così di prenderne le distanze e andare a dormire con la coscienza pulita.

Anche quando le nostre reazioni si rivelano meno naïf e riusciamo ad affrontare la complessità con concreto realismo, finiamo il più delle volte per accontentarci di analizzarla meticolosamente, con setacci sempre più fini, alla strenua ricerca di ogni differenza tra i nostri principi e quelli degli altri.

Il risultato non cambia: le parole non si trasformano da sole in azione politica, e questo perché ribadire i valori, attraverso un sincero idealismo o un attento pragmatismo, non è sufficiente a creare una comunità coesa.

Certo, l’Europa ha avuto lo storico merito di portare al centro dell’attenzione globale le grandi sfide per il progresso umano e civile: il diritto internazionale, la sostenibilità ecologica e sociale, il ripudio della guerra...

Ma ora quell’ambizione rischia di degenerare in puro narcisismo se si finisce per immaginare che le nostre aspirazioni possano essere condivise da tutti.

Marginale

Dopo aver appurato che Georgia, Gambia, Azerbaigian, o qualunque altro Paese reagiranno con sostanziale indifferenza nel leggere gli atti partoriti a Strasburgo, l’Europa non ha più alibi: o cambia strategia o si troverà sempre più ai margini del sistema globale.

Per il momento, i segnali non sembrano però essere confortanti di fronte a un’Unione appiattita su un eterno, immobile presente, in cui è preferibile illudersi di poter regolamentare le intelligenze artificiali, piuttosto che incidere concretamente sulla realtà, prendendosi i rischi che questo comporta. Un’indolenza pericolosa: chi ancora crede nei grandi progetti europei e si accalora per sostenerli con il proprio voto non impiegherà molto a scoprirsi su una ruota per criceti, in cui ogni sforzo è fine a sé stesso.

Ha torto chi crede che non ci sia nulla da fare, che siamo impotenti di fronte a un mondo di titani capace di plasmare la geopolitica con lo schiocco delle dita.

Le difficoltà sono innegabili, ma sarebbe comunque meno ipocrita affrontarle facendo vera politica piuttosto che rifugiarsi in un idealismo fine a sé stesso, limitandosi a gridare parole come libertà, democrazia, diritti umani di fronte allo specchio. Se l’Europa vuole sopravvivere oltre la prossima legislatura dovrà per forza metterlo da parte, anche a costo di romperlo.

© Riproduzione riservata