- Con la conferenza su sviluppo e migrazioni che si svolge a Roma, l’Italia tenta di ricostruire un’architettura di stabilità condivisa.
- Saranno presenti europei, turchi, arabi del Golfo, nordafricani e subsahariani, anche la commissione è coinvolta come lo è stata in Tunisia.
- Occorre andare per gradi e ascoltare le aspirazioni di tutti, per poi convogliarle in un quadro comune. Si tratta di un processo. Ci vorrà molta pazienza per armonizzare gli interessi.
Il vertice su sviluppo e migrazioni che si svolge oggi rappresenta il primo atto del piano Mattei ancora in cantiere. La novità è che Roma si fa promotrice di una conferenza euro-mediterranea connettendo realtà diverse: il nord Africa con le sue difficoltà di tenuta degli stati e di assenza di democrazia; i paesi del Golfo con la loro ambizione di contare sullo scacchiere globale; la Turchia protagonista in molteplici teatri; i paesi dell’Europa del sud che cercano un’intesa sui temi comuni (prima di tutto su quello delle migrazioni che divide la Ue).
Come si nota nell’estenuante negoziato in Tunisia, non è possibile trattare ciò che sta a cuore a italiani o europei, senza tener conto di ciò che serve ai nostri dirimpettai. Per le migrazioni fino a ora si è cercato di fare in due modi: scambiare contenimento con finanziamenti (il caso della Turchia); tentare soluzioni in solitaria trattando con realtà ibride (come nel caso libico). Il “modello turco” non piace alle nostre opinioni pubbliche. I tentativi in Libia sono falliti. Roma cerca una via nuova: allargare il tavolo e cercare un’armonizzazione che tenga conto dei diversi interessi. Si tratta di un’opzione ambiziosa e difficile ma possibile.
L’Europa è coinvolta con la Commissione (come a Tunisi) e anche questa è una novità: spingere sul comunitario e non solo sul Consiglio europeo che si è rivelato inefficace. Sono presenti alcuni paesi subsahariani considerati territori di transito. Servirà un secondo atto per ciò che riguarda il tema complesso dello sviluppo africano e della sua economia. Se confermata, l’assenza della Francia dovrà essere colmata. Ciò che conta in questi casi è la creazione di un nuovo formato e non tanto i risultati immediati della conferenza. Nell’attuale difficile fase storica dovuta alla guerra, si stanno rimescolando tutte le carte: i BRICS assumono un ruolo geopolitico più assertivo; il Mediterraneo è in movimento (accordi di Abramo, riavvicinamento tra Arabia Saudita, Turchia e Iran); i paesi latino americani chiedono la fine del conflitto (vertice Ue-Celac); la Cina cerca di salvare la globalizzazione ecc. La stessa Nato si sta riorganizzando per coprire il fianco orientale e meridionale, provocando contromosse. In uno scenario così divisivo, trovare degli interessi comuni è una sfida.
Dopo un periodo di marginalizzazione, il Mediterraneo è tornato a essere un centro nevralgico degli assetti globali, soprattutto per la sua parte orientale dove negli ultimi anni ci sono state forti tensioni. La conferenza potrebbe iniziare a disegnare una nuova architettura di sicurezza e stabilità di cui oggi si sente urgente bisogno. Occorre andare per gradi e ascoltare le aspirazioni di tutti, per poi convogliarle in un quadro comune. Si tratta di un processo: non si fa politica estera con colpi a effetto, personalismi o fughe in avanti. Ci vorrà tutta la pazienza del mondo per ripartire da ciò che unisce mettendo da parte ciò che divide.
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