- Il confronto tra l’inizio e la fine del 2020 suggerisce che la maggior parte dei partiti della destra radicale populista ha perso terreno nelle intenzioni di voto nell’anno della pandemia.
- Nella prima ondata del Covid-19 si è registrata una forte crescita nelle intenzioni di voto per i partiti di governo, soprattutto nelle fasi più drammatiche della crisi. Nella seconda ondata, invece, tali attori hanno perso consensi.
- Nonostante gli stravolgimenti avvenuti nel corso del 2020, i partiti della destra radicale populista restano attori cruciali nella politica europea contemporanea. Non solo la pandemia non ha inferto un colpo mortale a tali attori, ma, a ben vedere, offre una prova ulteriore del loro consolidamento nei sistemi politici europei.
Fin dai primi giorni dell’annus horribilis 2020 una serie di scenari più o meno fantapolitici sono stati prospettati dagli analisti e dai mass media. Uno dei più gettonati, ma anche uno dei più frettolosi, vedeva nella pandemia il potenziale per “uccidere” o quantomeno disinnescare il populismo, soprattutto la sua variante più diffusa e controversa: la destra radicale populista.
Con quest’ultima etichetta, ci si riferisce ad un sottotipo specifico all’interno del più ampio universo del populismo di destra: il tratto ideologico più importante della destra radicale populista è costituito dall’importanza cruciale attribuita al nativismo, ossia la preferenza accordata alla popolazione nativa di un dato contesto in ogni ambito della vita politica, sociale ed economica.
Per la destra radicale populista, l’appartenenza al gruppo dei “nativi” è sancita, in particolare, dall’abbracciare una cultura dominante definita in senso etnico (Leitkultur), che va difesa e tutelata ad ogni costo dalla “minaccia”, reale o presunta, posta dagli allogeni.
In un articolo apparso su queste pagine lo scorso ottobre, avevo sottolineato come i populisti di destra al governo durante la prima ondata di Covid-19 avessero in realtà visto accrescere il loro appeal nei sondaggi, mentre quelli all’opposizione avevano perso relativamente pochi consensi, salvo alcuni casi isolati.
Tuttavia, come avevo (facilmente) pronosticato in tale sede, con l’arrivo della cosiddetta “seconda ondata” in autunno il fenomeno noto come rally round the flag (“radunarsi intorno alla bandiera”), il quale porta alla crescita del sostegno popolare per gli esecutivi nei periodi di intense crisi, è andato progressivamente scemando.
In molti casi, durante la seconda ondata si è assistito ad un ribilanciamento di forze tra i partiti populisti al governo e quelli all’opposizione.
Dopo la seconda ondata
Diritto e Giustizia in Polonia e Fidesz in Ungheria, i due partiti populisti al governo più noti dell’Europa centro-orientale (a lungo considerati come casi di populismo nazionalconservatore ma da qualche anno pienamente riconducibili al novero della destra radicale populista) avevano beneficiato dell’effetto rally around the flag in primavera, fino a raggiungere picchi del 45,1 per cento e del 51,3 per cento, rispettivamente +4,0 e +0,7 punti percentuali rispetto al dato pre-Covid.
Tuttavia, sia Diritto e Giustizia che Fidesz, pur rimanendo di gran lunga al primo posto nei sondaggi nazionali, hanno registrato un calo significativo a fine 2020, scendendo, rispettivamente, al 33,8 per cento e al 46,6 per cento.
Un punto importante è che non solo i due partiti hanno perso terreno rispetto al picco di consensi registrato durante la prima ondata, ma presentano un saldo negativo in confronto all’inizio 2020, ossia nell’era pre-Covid: tra gennaio e dicembre 2020 Diritto e Giustizia ha perso ben 7,3 punti percentuali; Fidesz ne ha persi 4.
Analogamente, a fine 2020 anche gli altri partiti della destra radicale populista al governo, come il Partito Popolare Conservatore Estone e Siamo una Famiglia in Slovacchia hanno perso terreno, non solo in confronto al loro picco registrato durante la fase più acuta della prima ondata, ma anche, e soprattutto, rispetto alle intenzioni di voto nel periodo precedente alla pandemia.
Se confrontiamo i dati della fase pre-Covid con quelli di fine 2020, ossia nel pieno della seconda ondata, possiamo notare come i partiti della destra radicale populista nell’Unione Europea abbiano perso in media 1,3 punti percentuali, passando dal 14,9 per cento al 13,6 per cento.
Come nella prima ondata, non esiste un trend unico per tutti i partiti. La larga maggioranza delle formazioni della destra radicale populista ha perso consensi rispetto alla fase pre-Covid (18 su 26): a questo proposito, è interessante notare come le performance peggiori siano state registrate dal Forum per la Democrazia nei Paesi Bassi (-8,9 punti percentuali) e dalla Lega di Salvini, la quale pur rimanendo il primo partito italiano è passata dal 31,6 per cento al 23,8% (-7,8 punti percentuali).
Il calo della destra
Mentre nella prima ondata i partiti della destra radicale al governo avevano guadagnato terreno nelle intenzioni di voto soprattutto nella fase più drammatica della crisi, la seconda ondata ci parla di un calo generalizzato della destra radicale populista al governo.
Gli 8 partiti che a fine anno sono cresciuti nelle intenzioni di voto rispetto al periodo pre-Covid sono tutti forze di opposizione. Tra queste, spicca l’exploit di Fratelli d’Italia (+5,7 punti percentuali), la Nuova Destra in Danimarca (+ 5,1 punti percentuali) e il Partito della Libertà nei Paesi Bassi (+ 3,5 punti percentuali).
Nel complesso, il 2020 è stato certamente un annus horribilis, ma non è stato così per la destra radicale populista europea. Infatti, nonostante il trend tendenzialmente negativo nelle intenzioni di voto, va sottolineato che i partiti della destra radicale populista nell’Unione europea mantengono il primo posto nelle intenzioni di voto nelle Fiandre (Belgio), Italia, Polonia, Ungheria, il secondo in Francia e nei Paesi Bassi, e il terzo posto in Spagna e Svezia (oltre che in Italia, con il partito di Meloni).
La pandemia non ha spazzato via la destra radicale populista nemmeno nei paesi dove ha fatto la sua comparsa più recentemente, come il Portogallo e la Spagna.
Infine, in un numero crescente di paesi europei il mercato politico è caratterizzato dalla presenza simultanea di più partiti della destra radicale populista di un certo successo, un fenomeno che genera intricate interazioni di cooperazione e competizione, come suggerito in modo piuttosto eloquente dal caso italiano (Salvini versus Meloni).
A ben vedere, quindi, l’anno appena trascorso ci parla di una sostanziale capacità di tenuta della destra radicale populista anche nel contesto di una crisi planetaria senza precedenti.
Non solo la pandemia non ha inferto un colpo mortale alla destra radicale populista, ma, a ben vedere, offre una prova ulteriore del suo consolidamento nei sistemi politici europei, con tutte le complicazioni del caso.
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