- L’Eurogruppo approva senza modifiche sostanziali la riforma del Mes, bloccata per un anno dal rifiuto italiano a prendere atto di essere isolati in Europa sul salvastati;
- Il Mes resta prestatore di ultima istanza ai governi, con buona pace delle suggestioni italiane a coinvolgere la Bce, cosa impossibile nell’attuale cornice dei trattati;
- Lo strumento non è un acceleratore di default né un magnete per speculatori. Per ora non lo utilizzeremo ma, in caso di persistente incapacità a crescere, prima di attivarlo si farà ricorso al risparmio privato, a tutelare la solvibilità del debito pubblico. Ma questa non è colpa dell’Europa.
I ministri delle Finanze dell’Eurozona hanno raggiunto lunedì sera un accordo politico per la riforma del trattato intergovernativo che norma il Meccanismo europeo di stabilità (Mes), dopo un anno di stallo causato soprattutto dalle resistenze italiane e da quelle dei paesi del Nord, che frenavano sul coinvolgimento del Mes nelle risoluzioni bancarie in caso di incapienza del Single Resolution Fund.
In base all’accordo, il Mes potrà essere utilizzato in questa circostanza due anni prima del previsto, nel 2022. Quanto al resto delle previsioni di riforma del trattato, malgrado un anno di teatrino romano, resta tutto invariato.
Poco di concreto
In dettaglio, sono previste due linee di credito, la precauzionale (Pccl) e la rafforzata (Eccl), che potranno supportare, mediante prestiti o sottoscrizione di titoli di stato all’emissione, i paesi che perdono l’accesso al mercato dei capitali.
La Pccl diventa linea di difesa contro shock imprevisti che colpiscono paesi con finanza pubblica sana, in linea con i parametri su deficit e debito. L’Italia, già prima della pandemia, non avrebbe potuto accedervi a meno di valutazioni politiche in deroga di cui il nostro paese peraltro gode da sempre, in Europa.
Per i paesi meno virtuosi resta la possibilità di accedere alla linea di credito rafforzata (Eccl), che prevede un memorandum d’intesa e la valutazione di sostenibilità del debito pubblico. In caso di esito negativo di questa verifica, che serve a tutelare i paesi firmatari del Mes da perdite, la ristrutturazione del debito pubblico, in termini di rinvio delle scadenze e riduzione delle cedole, verrà agevolata da modifiche alle cosiddette clausole di azione collettiva (Cac).
Dal 2022, verranno introdotte le “single limb Cac”, dove per cambiare i termini di emissione basterà la maggioranza di tutti i titoli e non anche delle singole emissioni. Questo per rendere più spedita la ristrutturazione del debito, riducendo i costi dello stallo per mano di creditori “avvoltoio”, come invece accaduto, ad esempio, in Argentina.
Fin qui, succintamente, le tecnicalità. Il Mes resta prestatore di ultima istanza ai governi nazionali, con buona pace di chi insiste a chiedere che tale ruolo sia svolto dalla Bce, che non può farlo senza contravvenire al divieto di finanziamento del deficit sancito dall’articolo 123 del Trattato di funzionamento della Ue.
L’anno sprecato dall’Italia
Sotto l’aspetto politico, la riforma del Mes nel testo attuale è stata approvata nel dicembre 2018, quando in Italia governava la maggioranza giallo-verde, e nuovamente approvato a giugno 2019.
L’Italia, in altri termini, non poteva sottrarsi alla approvazione in sede europea, perché avrebbe in tal modo ribadito di essere isolata, dipingendosi un bersaglio in fronte.
Questo era chiaro da subito anche all’uomo che sta guidando il paese in questa legislatura, sotto maggioranze differenti, Giuseppe Conte.
In questo anno di decantazione formale della revisione del trattato, a Roma si è sentito tutto e il suo contrario. Il ministro Gualtieri, nel tentativo di convincere i riottosi della maggioranza, è giunto a sostenere che l’approvazione della riforma non implica che lo strumento verrà attivato. Che sarebbe logica elementare, ma qui pare soprattutto un modo per rasserenare un gruppo di soggetti difficili, a cui si è parata di fronte la realtà.
Due Mes diversi
In questo baccanale di analfabetismo funzionale misto a cinismo politico si è persino confuso il Mes pandemico, la linea di credito sanitaria priva di condizionalità, col trattato vero e proprio. Qualcuno, messo all’angolo dalla realtà, si è spinto a chiedere un demenziale baratto: sì all’approvazione della revisione del trattato purché resti il no al prestito pandemico. Quanto fanno male, le dissonanze cognitive.
Ora ci attende l’ennesimo atto dello psicodramma, la ratifica parlamentare. Durante la quale non mancheranno sceneggiate e colpi di teatrino a uso interno, a sancire il distacco dalla realtà di un intero paese e dei suoi eletti.
Dopo aver cullato sogni bagnati in cui la Bce si compra il nuovo debito e poi, in un mattino di rugiada, lo cancella con un tratto di penna, la politica italiana è costretta al risveglio.
Ma non ci sarà ristrutturazione del debito né memorandum, almeno per ora: l’Italia ha ancora ampie riserve patrimoniali private cui attingere, per rendere sostenibile il debito pubblico in alternativa alla crescita. Troppo brutale, detto in questi termini? Forse, ma cosa credete intendano, quelli che continuano a magnificare il risparmio privato degli italiani?
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