Negli ultimi mesi ci si è abituati a vedere un Giuseppe Conte aggressivo, capace di mettere in difficoltà gli alleati del Pd ed erigersi a voce principale dell’opposizione. Il movimento 5 stelle ha fatto vincere al centrosinistra con una sua candidata le elezioni in Sardegna, segnando l’unica sconfitta alle regionali subita dal 2020 a oggi dal centrodestra. Conte si è poi impegnato per imporre la sua linea, negli scandali clientelari di Bari ha scelto la via della questione morale e rotto il patto per le primarie per la scelta del candidato sindaco mentre in altre competizioni comunali cerca di imporre i nomi del suo partito al Pd.
Anche a livello nazionale il Movimento 5 Stelle sembra avere le idee più chiare degli alleati: sul pacifismo, sull’immigrazione, sulla politica economica. Conte è molto abile nel camminare sul crinale tra il vecchio populismo e la sinistra radicale, con un mix di ambientalismo, assistenzialismo, giustizialismo e pacifismo in politica estera. Mentre su alcune questioni – Europa, diritti civili, immigrazione – mantiene una ambiguità che gli consente di fare accordi con la destra sulle nomine pubbliche. Così in questo ultimo anno Schlein ha subito l’approccio duro di Conte al campo largo, con l’avvocato del popolo determinato a tenere sulla corda gli alleati del Pd.
Un movimento senza radici
L’alleanza giallorossa si può fare soltanto come e quando Giuseppe Conte dispone. Tuttavia, l’abilità tattica è un conto mentre la dinamica democratica è un altro. E se guardiamo ai risultati elettorali per Conte il sole splende molto meno rispetto al piano comunicativo e tattico. Il Movimento 5 Stelle infatti non riesce quasi mai a sfondare quota 8% sui territori, non ha una classe politica solida, c’è un radicamento molto superficiale. È una caratteristica del Movimento fin dalle origini, d’altronde esso nasceva come non-partito, metteva insieme protesta e opinione.
Di conseguenza alle regionali, alle amministrative e alle europee la lista del Movimento 5 Stelle è sempre andata meno bene rispetto alle politiche e ai sondaggi nazionali. In elezioni a bassa affluenza e dove servono candidati forti e capaci di canalizzare consensi raramente i pentastellati si avvicinano alle percentuali delle elezioni politiche. Questo schema resta valido anche in vista delle prossime europee. Se l’affluenza dovesse affievolirsi è possibile che il Movimento 5 Stelle ottenga un risultato al di sotto delle attese.
La polarizzazione Meloni-Schlein
Ci sono altri tre fattori che possono concorrere ad un calo del partito di Conte. Il primo è il tentativo di polarizzazione che Schlein e Meloni stanno costruendo insieme con le proprie candidature alle europee. Entrambe, infatti, hanno interesse nel far sembrare le elezioni una sfida a due a discapito degli altri capi partito. Il secondo è che il Movimento 5 Stelle non ha più una politica-bandiera in grado di mobilitare come lo era stata il reddito di cittadinanza. Il terzo è che il sud vota tradizionalmente di meno rispetto al nord, dunque il Movimento, molto più forte al meridione che al di sopra di Roma, rischia di subire di più l’astensione degli elettori.
Dunque le europee potrebbero mettere una distanza, di 6-7 punti percentuali, tale da spegnere le ambizioni di Conte come leader del centrosinistra. Una situazione di fatto che potrebbe favorire il cementarsi dell’alleanza con un partito principale, il Pd, e uno minore, il Movimento 5 Stelle. Ciò non significherebbe ovviamente che Conte non possa sfruttare ancora la sua abilità tattica. D’altronde senza il Movimento la sinistra non ha speranza di vincere contro il centrodestra.
Ma un conto è influire sulla coalizione, un’altra è dare le carte sull’esistenza o meno della stessa. Con un Movimento 5 stelle ridimensionato questa seconda possibilità per Conte verrebbe probabilmente meno. E forse, sul piano strategico, per il centrosinistra che verrà sarebbe meglio così.
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