Il 2025 sarà decisivo per il Pd. È il tempo di scelte cruciali per definirsi e attrezzarsi in vista dello scontro elettorale con la destra. Dovrà decidere se investire o meno sulla sua organizzazione e strutturazione, se dedicare almeno un minimo di attenzione alla sua comunicazione soprattutto nella sfera digitale, se definire un progetto di alto respiro per una società di liberi ed eguali e declinare in una serie di proposte, se raddrizzare, o meno, i disequilibri nella composizione sociale della sua base elettorale.

Partiamo dall’ultimo aspetto. Anche la più recente analisi sulla demografia dell’elettorato Pd offerta dall’Ipsos – oltre ad altri studi pubblicati nei mesi scorsi – fotografa un partito di anziani, istruiti e relativamente benestanti. Se poi si aggiunge che il voto dei democratici cresce con il crescere della dimensione delle città e con la centralità dei suoi quartieri, diventa poi difficile evitare il marchio di partito delle ZTL. È una realtà che solo nelle regioni rosse viene ridimensionata perché lì, invece, il partito è radicato anche nelle periferie e nei piccoli centri. Questo profilo è in sintonia con la presenza massiccia di pensionati nelle sua fila, il gruppo socio-economico predominante. In compenso, gli studenti sono presenti in una misura nettamente superiore alla media, e sono molti di più rispetto ai suoi competitor di destra (FdI) e di sinistra (M5s).

La polarizzazione dei consensi tra anziani e giovani, tra pensionati e studenti, lascia ai margini disoccupati e operai, le componenti più in difficoltà della società italiana. Mentre FdI recluta abbondantemente anche tra queste fasce sociali, e il M5s è egemone tra i disoccupati, il Pd viene tuttora scartato come opzione politica. Il riorientamento operato da Elly Schlein in direzione di queste categorie, con l’enfasi sul salario e sulla salute, è troppo recente per dare risultati. L’elettorato si muove lentamente, non segue i ritmi dei talk show. A meno di catastrofi o di raptus.

Il declino del Pd presso i ceti popolari viene da lontano, da quando i suoi leader non hanno più espresso, o gestito quando erano al governo, politiche pro-labour e hanno privilegiato invece logiche di mercato improntate al neoliberismo e al rigore finanziario. Difficile trattenere le proprie constituency popolari quando non si fa nulla nei loro confronti, nemmeno in termini simbolici. Nei quartieri popolari delle 13 città metropolitane, fino al 2008 e in parte nel 2013, il Pd teneva. Poi la diga si è rotta: la spallata decisiva è arrivata con lo spostamento al centro sotto la leadership di Matteo Renzi che in quelle zone ha spostato il voto dei democratici verso altre opzioni, moderate e grilline, oltre che, soprattutto, verso l’astensione . Per diventare un partito centrale nello schieramento politico non c’è altra strada che recuperare quell’elettorato popolare che se n’è andato, ovviamente senza perdere le componenti borghesi e metropolitane conquistate di recente. Una operazione complicata, in particolare per quanto riguarda la riconquista dei delusi: perché quando il distacco è motivato da aspettative frustrate entrano in gioco componenti profonde, emotive, difficili da scardinare.

Il programma

E qui entra in gioco l’altro snodo critico del partito democratico: il suo progetto. Non si tratta di costruire a tavolino un ennesimo programma su tutto lo scibile. Il Pd non ha certo bisogno di presentare una agenda di governo, come non fosse stato a lungo nella stanza dei bottoni e dovesse esibire credibilità e competenze amministrative e gestionali. Del resto, Fratelli d’Italia ha conquistato la maggioranza grazie ai suoi articolati e approfonditi programmi? Ovviamente no. Bastano alcuni punti caratterizzanti, ben confezionati e credibilmente veicolati da un leader, grazie ai quali gli elettori capiscono cosa è e cosa vuole quel partito.

Coloro che hanno abbandonato il Pd e si sono rifugiati nell’astensione, possono essere smossi dall’apatia e dal rancore, e riportati nella sfera politica da una idea alta, coraggiosa e articolata di cambiamento dello status quo, verso una società diversa, più soldale, giusta e rispettosa. L’esempio principe di questo tentativo rimane sempre la traduzione in programma politico del piano Beveridge da parte dei laburisti inglesi in vista delle prime elezioni post-belliche. O il New Deal rooseveltiano. Prospettive nuove, inedite, che mobilitano. Per arrivare a questo, oltre ad un po’ di riflessione, servono anche una struttura organizzativa e una modalità comunicativa all’altezza della sfida. Ma questo è ancora un altro tema.

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