- Mi trovo qualche giorno al mare e osservo i bambini e le loro famiglie. Sono un occhio vigile che registra, questo mi piace pensare, in realtà bado ai miei figli e nel frattempo prendo qualche appunto mentale sul mondo intorno. La vacanza è un luogo spirituale fuori dall’ordinario.
- Frequentiamo una spiaggia “child-friendly”, come si usa dire nell’epoca delle bolle e delle divisioni, cioè aperta all’accoglienza dei bambini.
- Stando lì mi tocca, a volte, parlare con i genitori degli altri bambini. Questo potrebbe sembrare spiacevole, ma è utile, nel senso che se lasci parlare le persone, fingendoti priva di opinioni definite, estrai sempre un insegnamento brutale sull’umanità.
Mi trovo qualche giorno al mare e osservo i bambini e le loro famiglie. Sono un occhio vigile che registra, questo mi piace pensare, in realtà bado ai miei figli e nel frattempo prendo qualche appunto mentale sul mondo intorno. La vacanza è un luogo spirituale fuori dall’ordinario. Frequentiamo una spiaggia child-friendly, come si usa dire nell’epoca delle bolle e delle divisioni, cioè aperta all’accoglienza dei bambini.
C’è un’area giochi con una casetta, uno scivolo, delle giostre colorate. I bambini più interessati a quest’area hanno fra i due e i quattro anni, vanno e vengono portando i loro giocattoli, si arrabbiano se qualcuno glieli sottrae, talvolta riescono a negoziare un baratto. I genitori intorno sorvegliano, si scambiano sorrisi e lanciano frasi ai figli ricordando loro l’importanza della condivisione.
«Lorenzo, dai il tuo camion giallo a Giulia, da bravo. Cosa ti hanno insegnato al nido?». Ma Lorenzo non sente. Allora Giulia rinuncia al camion giallo e prende una carriola rossa. Inizia a percorrere una passerella di legno che conduce alla battigia. Lorenzo vede tutto questo e di colpo capisce che non vuole più il camion, ma la carriola. Va da Giulia e gliela porta via senza chiederle il permesso, Giulia non si scompone e va a prendere il camion abbandonato da Lorenzo. Quello che Lorenzo non sa e non ha capito è che il piano diabolico di Giulia ha funzionato: ora lei ha il camion, come ha sempre desiderato.
Gli scambi
Stando lì mi tocca, a volte, parlare con i genitori degli altri bambini. Questo potrebbe sembrare spiacevole, ma è utile, nel senso che se lasci parlare le persone, fingendoti priva di opinioni definite, estrai sempre un insegnamento brutale sull’umanità. Per esempio un pomeriggio raccolgo le confidenze politiche di un trentenne dall’aspetto innocuo. Voce bassa, abbronzatura leggera, boxer blu, un’apparenza fisica all’insegna del senso del limite. È il padre di una bambina graziosa. Nel giro di poche frasi mi fa sapere che lui vuole Giorgia Meloni al potere. «Di questi tempi serve l’estremismo». Poi mi fa sapere che quella sera ordinerà delle pizze, e per un attimo è come se fra le pizze e l’estremismo esistesse, per lui, una continuità.
Un bambino si avvicina, mi tocca il ginocchio, lo guardo, mi guarda, mi dice: «Io domani torno a casa». Raccolgo questa sua confidenza, immagino che gli dispiaccia finire la vacanza, allora gli dico una frase di circostanza sul fatto che a casa ritroverà tutti i suoi giochi, e sarà bello. Ma lui non mi risponde, mi ripete «Io domani torno a casa».
Sua madre è poco distante, mi sorride, poi a mezza voce mi fa: «Non è vero. Non torniamo a casa». Il bambino di colpo scoppia a piangere. «Io domani torno a casa! Torno a casa!». La sua infelicità in quel momento è piena. La spiaggia intera lo osserva. Nella mia mente vedo la madre al tempo in cui prenotò questa breve vacanza immaginando fosse molto adatta a un bambino piccolo, e invece il suo bimbo ne ha piene le scatole. La gioia di vivere mi sembra, per un attimo, un’impossibilità. Fa caldo e voglio fare il bagno. Raccolgo mio figlio piccolo e mi rendo conto che ora è lui ad avere il camion giallo. E Giulia? Ha un annaffiatoio arancione e sembra tranquilla. Forse Giulia aveva architettato tutto per avere, in ultima analisi, l’annaffiatoio arancione. Il camion giallo era solo una fase intermedia del suo piano. Porto mio figlio verso la battigia, lui tiene il giocattolo ben saldo nelle sue mani, lo invito a poggiarlo per terra, non vuole. Entriamo in acqua. Siamo io, il bambino, il camion.
Il matrimonio
Alla mia destra ora c’è il padre estremista della Meloni, la sua bambina porta i braccioli e galleggia pensosamente. Poco distante c’è un uomo che prima avevo visto comprare libri da un ambulante sulla spiaggia, anche lui ha un figlio, un bambino un po’ più grande al quale sta facendo una lezione di nuoto basata sul ripetere: «Vedi che ce la fai? Ce la fai!».
Ci muoviamo tutti con circospezione, i bambini sono silenziosi, nessuno piange, qualcuno ride. Fuori dall’acqua, una coppia in piedi osserva il mare. Lei è incinta. Mi vengono in mente due vignette che ho visto tempo fa. Nella prima, un uomo e una donna si abbracciano impauriti. Sopra di loro sta per atterrare, dal cielo, un neonato. «Ti diranno che avere un bambino è come gettare una bomba su un matrimonio», dice il testo. La seconda vignetta rappresenta la stessa coppia che ora dà la mano a un bambino. «Ma non è forse questo il senso del matrimonio? Avere qualcuno accanto con cui fare le cose difficili?».
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