Occidente e paesi arabi moderati attendono la fine degli attacchi israeliani per fare le loro mosse. Mohamed Bin Salman ha già un piano per Gaza e per i palestinesi ma dovrà ottenere l’accordo di Tel Aviv La vera sorpresa è la debolezza dell’arco sciita, che ci aveva abituato ad una retorica di guerra
Più le autorità Usa ripetono che «non erano informate» dell’attacco israeliano in Libano sud, e più si allarga la platea di coloro che pensano che oggi gli Stati Uniti – e di conseguenza tutto l’Occidente – non contano più nulla. In effetti siamo entrati in una fase in cui “fare da sé” è divenuta la regola dominante. Resta il fatto che Israele non avrebbe la capacità logistico-militare di proseguire la sua linea d’attacco e di sfida all’Iran, senza l’appoggio determinante in finanziamenti e armi da parte americana e occidentale. Cosa significa questo? Secondo Gilles Kepel nessuno frena Israele perché «sta facendo il lavoro sporco per tutti».
Ma c’è anche un altro fattore decisivo: a molti leader (inclusi quelli arabi) pare di essere entrati in una fase nuova, come un foglio bianco su cui riscrivere l’intera storia del Medio Oriente. È questa la posizione di Mohamed bin Salman (MBS), il principe ereditario dell’Arabia Saudita, il quale vede con favore l’indebolimento dell’intero arco sciita: l’Iran che direttamente colpito non riesce a reagire; Hezbollah che crolla senza contrastare (dove sono le migliaia di missili che diceva di possedere?); la Siria che se ne sta in silenzio al riparo dietro i russi; l’Iraq che resta in preda a forti divisioni interne e ha una presenza americana sul proprio territorio. Sta forse finendo il periodo in cui gli sciiti (filoiraniani) dettavano la linea dell’intera regione? È ciò che sperano i paesi a maggioranza sunnita, come l’Egitto, la Giordania e gli stati del nord Africa. Ma è ciò che auspicano soprattutto le monarchie del Golfo e gli stessi libanesi pur bombardati da Israele. Da anni Beirut è tenuta sotto scacco dalle milizie Hezbollah che impediscono ogni evoluzione politica del paese, sia in senso tradizionale (l’accordo tra componenti politico-religiose) che democratico (come auspicavano i manifestanti ante Covid del 2019).
Dopo la fine dei combattimenti in Libano, qualcuno si aspetta la ripresa di una forma di primavera araba ma è molto più probabile il ritorno dell’opzione “accordi di Abramo”. L’Arabia Saudita ha fatto già sapere a Israele di essere disposta ad occuparsi interamente della Striscia di Gaza (con o senza un periodo interimario di truppe turche o europee): anche se la destra estremista di Ben-Gvir o Smotrich si opporrebbe, è da prevedere che alla fine una soluzione di questo tipo sarà presa con accordo americano.
Emerge così che l’inerzia occidentale e soprattutto il silenzio degli stati arabi rappresentano in realtà una politica di attendismo nella speranza di liberarsi una volta per tutte dell’ “asse della resistenza” costruito in questi anni dagli iraniani, per poi ricostruire un equilibrio geopolitico rinnovato.
Si tratta certamente di una scommessa, forse di un azzardo, ma gli esperti sostengono che il decisivo indebolimento di Hezbollah paradossalmente diminuirà il peso specifico iraniano al punto da evitare una guerra regionale. Lo stesso neo-presidente dell’Iran, Masoud Pezeshkian, ha dato un segnale di disgelo sostenendo ora alla tribuna delle Nazioni Unite che il suo paese condanna l’aggressione russa dell’Ucraina.
Dal canto suo Samir Aita, presidente del circolo degli economisti arabi e oppositore siriano, analizza la situazione attuale del suo paese sottolineando come Bashar al Assad si stia allontanando dalle posizioni di Teheran. Dopo l’eliminazione di Nasrallah, a Israele resta ancora da scovare l’ultimo dei capi di Hamas, Yahya Sinwar l’artefice dell’alleanza Hamas-Iran ora nascosto in qualche tunnel. Oltre a quest’ultimo, tra i ricercati c’è ancora Khaled Meshal, il quale tuttavia si è sempre opposto alla linea filo-iraniana (quella di Haniyeh, Sinwar ed altri) e come filoturco potrebbe tornare utile in una fase successiva.
Mentre in Libano si può sperare che dopo questa guerra il sistema nazionale del Paese dei Cedri si rimetta di marcia, dalle macerie di Gaza probabilmente striscerà fuori il serpente velenoso della vendetta. Ma bin Salman sa che per questo ci vorrà del tempo e punta a convincere i palestinesi a seguire un’altra via. Per ora Israele resta l’attore più forte ma non potrà fare tutto da solo. D’altro canto tutti sono sorpresi dalla debolezza sciita: tanta retorica bellica celava forse una realtà ben diversa, un vuoto che ora altri riempiranno.
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