- I dati più recenti sull’attuazione del piano vaccinale per il Covid-19 confutano molte teorie avanzate negli ultimi anni sull’efficienza del sistema sanitario di alcune regioni. Tuttavia non possiamo addossare alle regioni più colpe di quante ne abbiano.
- Ciò che, infatti, colpisce è che lo stato abbia dato, in questa vicenda, l’impressione di non volersi assumere la responsabilità della gestione del piano vaccinale.
- A distanza di 4 mesi dall’avvio delle vaccinazioni, il generale Francesco Paolo Figliuolo è finalmente intervenuto a “disporre” l’ordine di priorità. L’ordinanza da lui emanata, senz’altro apprezzabile, lascia però alcuni dubbi rilevanti.
I dati più recenti sull’attuazione del piano vaccinale per il Covid-19 confutano molte teorie avanzate negli ultimi anni sull’efficienza del sistema sanitario di alcune regioni. Come ha ribadito il presidente Mario Draghi, la priorità è vaccinare i cittadini over 80 e, subito a seguire, gli over 70: tale priorità sembra essere del tutto disattesa in regioni come la Toscana dove il ciclo vaccinale è stato completato solo per il 27 per cento degli ultra ottantenni contro il 62 per cento in provincia autonoma di Bolzano, il 50 per cento in Molise, il 48 per cento in Emilia-Romagna, il 45 per cento in Basilicata. D’altronde, cliccando sul sito della regione Toscana, è impossibile prenotare il vaccino essendo tutto bloccato da settimane: ogni tanto, per pochi minuti, si aprono degli slot di registrazione che si chiudono quasi all’istante, sicché il cittadino toscano over 70 deve essere un hacker per potersi vaccinare.
Tuttavia non possiamo addossare alle regioni più colpe di quante ne abbiano. Ciò che, infatti, colpisce è che lo stato abbia dato, in questa vicenda, l’impressione di non volersi assumere la responsabilità della gestione del piano vaccinale. In caso di pandemie o emergenze sanitarie come quella in corso, le regioni non hanno alcuna competenza: lo ha ricordato la Corte costituzionale con la sentenza n. 37 di qualche settimana fa. Come ha detto la Corte, «a fronte di malattie altamente contagiose in grado di diffondersi a livello globale, ragioni logiche, prima che giuridiche, radicano nell’ordinamento costituzionale l’esigenza di una disciplina unitaria, di carattere nazionale, idonea a preservare l’uguaglianza delle persone nell’esercizio del fondamentale diritto alla salute e a tutelare contemporaneamente l’interesse della collettività». Spettava, quindi, al governo, fin dallo scorso anno, fissare, tra l’altro, l’ordine di somministrazione dei vaccini e invece si è limitato a “suggerire” o “consigliare” alle regioni l’ordine da seguire (da ultimo con le raccomandazioni ad interim del ministero della Salute del 10 marzo 2021).
A distanza di 4 mesi dall’avvio delle vaccinazioni, il generale Francesco Paolo Figliuolo è finalmente intervenuto a “disporre” l’ordine di priorità. L’ordinanza da lui emanata, senz’altro apprezzabile, lascia però alcuni dubbi rilevanti. Tralasciando l’aspetto formale, ovvero l’anomalia di una ordinanza priva di articoli e commi, scritta come fosse un racconto piuttosto che un atto amministrativo, ci si chiede in che relazione si ponga con i numerosi decreti legge, Dpcm, decreti ministeriali, circolari, direttive, raccomandazioni, che hanno “suggerito” diversi ordini di priorità o, da ultimo, fissato obblighi vaccinali (psicologi compresi, a prescindere dall’età) e soprattutto cosa accadrà a chi, fuori da questo nuovo ordine, sia già prenotato per la vaccinazione nei prossimi mesi sulla base delle determine regionali. Nel fissare le priorità, ciascuna regione, infatti, ha operato una scelta precisa sulle riaperture post-pandemia: vaccinare prima gli insegnanti per riaprire le scuole in sicurezza (in linea con i “suggerimenti” dati dal governo), prima gli avvocati e i magistrati per riaprire le aule di tribunale, prima i collaboratori sanitari (dalle ditte di pulizia ai fornitori) per mettere in sicurezza gli ospedali e via discorrendo. Ora questa ordinanza incide sulle programmazioni regionali come se fossero scelte illogiche e immotivate.
Mettere mano alla Costituzione
A ogni modo, se con questo ultimo atto lo stato sembra riprendere in mano la gestione dei vaccini, resta una questione di fondo: finita la pandemia, potranno ancora le regioni decidere sulla vita e la morte delle persone? L’articolo 117 della Costituzione riconosce alle regioni il potere di concorrere con lo stato nell’assicurare la tutela della salute in condizioni non emergenziali. Dopo vent’anni da questa riforma, dovremmo chiederci che impatti ha prodotto e se non sia il caso di intervenire. Possibile, infatti, che il bene primario di ciascun individuo, la vita, possa essere gestito al pari di altre materie, come la caccia o la pesca, a livello regionale e che, quindi, ci sia una competizione tra le regioni sulla pelle delle persone? In questi mesi abbiamo visto come risiedere in un territorio anziché in un altro rappresenti il confine tra la vita e la morte: quanti decessi a causa del Covid si sarebbe potuti evitare se il piano vaccinale avesse funzionato diversamente in Toscana o in Lombardia o in Calabria? Quando l’emergenza sarà finita, il problema rimarrà se non si mette mano alla Costituzione e se non si avrà il coraggio e la forza di riportare in capo allo stato la competenza anche nella gestione ordinaria della salute delle persone.
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