- Il “decreto Riaperture” prevede che i docenti non vaccinati tornino a scuola, ma siano adibiti ad «attività di supporto all’istituzione scolastica», essendo precluso loro lo svolgimento di «attività didattiche a contatto con gli alunni». La norma solleva alcuni dubbi.
- Ci si chiede quale sia la “ratio” per cui i docenti non vaccinati sono liberi di stare a scuola e svolgere attività collegiali, ma senza poter insegnare, e quindi debbano essere sostituiti, con il risultato che per ogni insegnante non vaccinato ci sarà uno stipendio pagato due volte.
- Se il divieto per i docenti non vaccinati di stare a contatto con gli studenti è una misura di precauzione per la salute, ci si domanda perché altro personale scolastico non vaccinato sia invece adibito alle mansioni ordinarie, alcune delle quali comportano proprio il contatto con gli studenti.
La scuola è stata al centro dell’attenzione sin dall’inizio della pandemia – tra chiusure, didattica a distanza, gestione delle quarantene - e continua a esserlo anche ora che lo stato di emergenza è finito. Infatti, il “decreto Riaperture” (d.l. n. 24/2022) contiene alcune disposizioni in materia di scuola che suscitano perplessità, quanto a coerenza, e non solo,
Il decreto Riaperture
Nel novembre 2021, un decreto-legge (n. 172) ha introdotto l’obbligo vaccinale per il personale della scuola, con sospensione dall’attività lavorativa in caso di inadempimento, pur senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro, ma senza retribuzione.
Qualche giorno fa, con il decreto Riaperture, il Governo ha confermato fino al 15 giugno 2022 l’obbligo vaccinale per tale categoria, ma ha fatto cessare, a partire dal 1° aprile, la sospensione dall’attività lavorativa e dallo stipendio in caso di mancato assolvimento dell’obbligo stesso.
Tuttavia, mentre per i docenti la vaccinazione costituisce requisito essenziale per lo svolgimento delle attività didattiche a contatto con gli alunni, il restante personale della scuola può riprendere le mansioni che aveva prima della sospensione.
Ai sensi del decreto, gli insegnanti non vaccinati tornano a scuola, ma vengono adibiti ad «attività di supporto all’istituzione scolastica», essendo precluso loro lo svolgimento di «attività didattiche a contatto con gli alunni».
I dirigenti scolastici provvedono alla loro sostituzione, dal 1° aprile 2022 fino al termine dell'anno scolastico, a meno che non si vaccinino, riacquistando in questo modo il diritto a insegnare. Tutto il personale scolastico, docente e non, è comunque tenuto ad esibire, fino al termine del 30 aprile 2022, il “green pass” base.
La genericità di alcuni profili del testo normativo, in primis la mancata definizione dei compiti cui adibire gli insegnanti non vaccinati, ha reso necessario un intervento da parte del ministero dell’Istruzione (MIUR).
La nota del ministero dell’Istruzione
Con una nota del 28 marzo scorso, il MIUR ha fornito alcuni chiarimenti. «Il personale docente ed educativo inadempiente all’obbligo vaccinale» cui è preclusa l’attività didattica - si legge nella nota – «potrà essere impiegato nello svolgimento di tutte le altre funzioni rientranti tra le proprie mansioni, quali, a titolo esemplificativo, le attività anche a carattere collegiale di programmazione, progettazione, ricerca, valutazione, documentazione, aggiornamento e formazione».
La precisazione del ministero suscita alcune domande. Innanzitutto, è difficile immaginare che i compiti corrispondenti alle esemplificazioni fornite possano, in concreto, impegnare i docenti fuori dalle aule non 18 ore a settimana, numero di ore previste per chi insegna, bensì 36 ore a settimana, come per chi svolge altre mansioni. Infatti, nella nota del MIUR si precisa che ai docenti non vaccinati si applica la disciplina relativa al «personale docente ed educativo dichiarato temporaneamente inidoneo all’insegnamento».
Può immaginarsi che i presidi avranno problemi nell’applicazione della norma, oltre al rischio di ricorsi da parte di chi reputerà di non essere adibito a compiti adeguati, nonché alla possibilità di intervento della magistratura contabile, qualora non si trovassero attività da far svolgere a persone comunque regolarmente stipendiate. Può immaginarsi, altresì, il disappunto dei docenti vaccinati rispetto ai colleghi che saranno retribuiti per impieghi non bene identificati.
In secondo luogo, ci si chiede se il divieto di svolgere attività didattiche a contatto con gli alunni possa essere considerata una sanzione aggiuntiva – rispetto a quella pecuniaria di 100 euro - per la violazione dell’obbligo vaccinale. Se così fosse, gli insegnanti sarebbero sanzionati in maniera più severa rispetto non solo al restante personale della scuola, ma anche ad altri lavoratori obbligati alla vaccinazione, i quali dal 1° aprile riprendono le mansioni svolte prima della sospensione (comparto della difesa, sicurezza e soccorso pubblico, polizia locale ecc.).
È più probabile che tale divieto sia una misura di precauzione per evitare contagi. In questa prospettiva, appare tuttavia singolare che i non vaccinati possano svolgere compiti a contatto con altre persone, le quali a propria volta interagiscono con gli studenti. Infatti, diverse attività alternative alla didattica, previste nell’elencazione del ministero, comportano contatti con terzi, e si suppone siano effettuate in spazi comuni, come ad esempio la sala dei professori.
In terzo luogo, i docenti non vaccinati tornano a scuola a stipendio pieno, ma devono essere sostituiti da altri docenti, ai quali andrà pure pagato lo stipendio.
I maggiori costi sono stimati in oltre 29 milioni di euro e circa la metà di questi sono coperti ricorrendo al fondo destinato alla valorizzazione della professionalità docente, quindi togliendo risorse ai vaccinati.
Ci si chiede, allora quale sia la “ratio” per cui gli insegnanti non vaccinati restano liberi di circolare nella scuola, ma senza poter svolgere attività didattica, e quindi debbano essere sostituiti, con il risultato che per ogni insegnante non vaccinato ci sarà uno stipendio pagato due volte.
Insomma, un bel pasticcio di incoerenza.
Il personale ATA
La nota del MIUR chiarisce che i dirigenti scolastici e il personale ATA (amministrativo, tecnico e ausiliario), pur se inadempienti all’obbligo vaccinale, «possano essere riammessi in servizio dalla data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 24, e possano essere normalmente adibiti allo svolgimento di tutte le ordinarie attività». In altre parole, a differenza dei docenti non vaccinati, essi tornano alle mansioni svolte prima della sospensione.
La motivazione fornita dal ministero lascia perplessi: dirigenti scolastici e personale ATA non svolgono «attività didattiche a contatto con gli alunni». È vero che presidi e altro personale non sono adibiti a tali attività, ma vengono comunque a contatto quotidiano con gli studenti. E se il divieto di contatto con questi ultimi, previsto per i docenti, è una misura di precauzione, allora non si comprende il motivo per cui tale contatto sia invece consentito al restante personale non vaccinato.
Basti pensare alle mansioni del personale ATA, quali sono definite dal contratto collettivo nazionale. Questo personale è adibito, tra le altre cose, alla «accoglienza e sorveglianza nei confronti degli alunni», alla «vigilanza sugli alunni», anche «durante il pasto nelle mense scolastiche», all’«ausilio materiale agli alunni portatori di handicap», pure «nell’uso dei servizi igienici e nella cura dell’igiene personale».
In conclusione, anche queste ultime disposizioni sulla scuola, come molte altre precedenti, suscitano dubbi e domande.
Dall’inizio della pandemia accade sovente che manchino spiegazioni trasparenti circa motivi e finalità di certi provvedimenti. Lo stato di emergenza da Covid-19 è finito, ma evidentemente resta necessario pretendere chiarezza.
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