- Le democrazie devono scendere a patti con regimi che hanno criticato.
- Ma anche i regimi autoritari devono allearsi contro i loro stessi interessi.
- La realpolitik preserva la pace ma occorre una ripresa del multilateralismo
Ritorna la realpolitik. Non soltanto le democrazie ma anche gli altri modelli di governo più verticisti o autoritari scendono a patti con la realtà sempre più intricata del nostro mondo, interconnesso e diviso allo stesso tempo.
Per le democrazie la sterzata è evidente e provoca polemiche. Il presidente americano Joe Biden ricuce con l’Arabia Saudita, additata dai tempi di Obama come regime assassino a causa dell’atroce uccisione di Khashoggi e continue violazioni dei diritti umani.
I leader dei due paesi, tradizionali alleati, non si prendevano più al telefono ma ora Biden, sulle orme della svolta di Erdogan, ha fatto un viaggio rappacificatore senza che il principe ereditario Mohammed Bin Salman abbia ceduto su nulla. Nei media liberal d’oltreatlantico le critiche al presidente sono numerose ma lui persiste: «Mi occupo di principi ma anche di interessi». Allo stesso modo, in tono minore, l’Italia abbandona il processo Regeni perché ha bisogno del gas egiziano: l’interesse c’era prima della guerra ma ora diviene più facile spiegarlo.
Dal canto suo la Francia cerca di ritessere legami in Medio Oriente con regimi prima molto biasimati. L’Europa si accontenta delle blande rassicurazioni polacche sullo stato di diritto e così via. L’esempio migliore sono i rapporti tra occidentali e Turchia, ora di nuovo calorosi quando un anno fa eravamo sull’orlo dello scontro armato.
La guerra in Ucraina costringe a virate di 180 gradi a causa della necessità militari e delle urgenze energetiche: la politica del realismo prevale su quella dei principi. Anche i regimi non liberaldemocratici sono obbligati alla medesima svolta. La Cina è costretta a fare buon viso al cattivo gioco della guerra russa, un conflitto che va contro gli interessi globali di Pechino. Eppure la competizione con gli americani è troppo importante per abbandonare Mosca al suo destino.
La votazione all’assemblea dell’Onu sulla condanna dell’invasione è segno di realpolitik di metà del mondo: si resta a guardare e non ci si schiera. In medioriente il gioco delle alleanze supera gli steccati precedenti, con gli accordi di Abramo che costituiscono una coalizione militare-commerciale tra ex nemici (Israele, paesi arabi ma anche Turchia) in funzione del pericolo sciita. In Siria si assiste ad incroci innovativi quanto instabili: per contrastare l’invasione turca, russi, siriani di Assad e curdi si alleano con l’appoggio americano e addirittura iraniano.
L’interesse comune è lo status quo, il mantra del realismo politico: chiunque lo metta a repentaglio diviene un nemico. In tale scenario incostante, l’interesse collettivo delle potenze grandi e medie è il contenimento dei fattori di instabilità: cercare di evitare sorprese. Se il risultato di tale realismo è la pace ben venga, ma la crisi socio-economica globale obbligherà a qualcosa di più: un ritorno alla solidarietà multilaterale che sola può salvare tutti.
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