- La copertura ideologica che il ministro ha di fatto dato allo squadrismo degli studenti di Azione Studentesca è il sintomo di un fascismo ideologico di tipo gentiliano
- Le minacce che fingono di non esserlo alla preside fiorentina che aveva scritto la lettera sui fatti del liceo Michelangiolo sono uno dei punti più bassi della dialettica politica recente, ma svelano quale è l’ideologia del ministro dell’istruzione.
- Valditara ricorda il ministro fascista Gentile: il liberalismo non fascista (che però tollera il fascismo) che è esattamente quello che oggi Valditara rivendica come suo orizzonte culturale di riferimento.
La storia si ripete tre volte: come tragedia, come farsa e come dichiarazione pubblica del ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara che ha replicato alla lettera ufficiale che la preside Annalisa Savino del liceo Leonardo Da Vinci di Firenze aveva scritto a commento dell’attacco squadrista di alcuni militanti di Azione studentesca (una sigla giovanile vicina a Fratelli d’Italia) contro studenti del liceo Michelangiolo, sempre a Firenze.
Lo scarto tra le parole della preside e quelle del ministro può essere colto tutto nell’antitesi di due idee di democrazia, due pensieri pedagogici, due retoriche.
«Il fascismo in Italia», è scritto nella lettera di Savino, «non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti. “Odio gli indifferenti” – diceva un grande italiano, Antonio Gramsci, che i fascisti chiusero in un carcere fino alla morte, impauriti come conigli dalla forza delle sue idee. Inoltre, siate consapevoli che è in momenti come questi che, nella storia, i totalitarismi hanno preso piede e fondato le loro fortune, rovinando quelle di intere generazioni”. Savino continua poi associando il nazionalismo retrivo di Valditara con l’ideologia fascista.
Il ministro ha risposto in diretta prima a Mattino 5, senza commentare l’attacco squadrista e sostenendo che non c’è nessun pericolo del ritorno del fascismo. In merito alla preside ha detto: «Se questo atteggiamento dovesse persistere, ci dovesse essere un comportamento che va al di là dei confini istituzionali, allora vedremo se sarà necessario prendere delle misure. Attualmente non ritengo che sia necessario intervenire». Una dichiarazione pesante che finge di non essere una minaccia.
Il fascismo genitliano ritorna
L’orizzonte retorico del ministro non è una parodia di un generico Ventennio, ma una riproposizione fuori tempo massimo di una delle versioni più ambivalenti del fascismo: quello gentiliano.
Proprio quest’anno ricorre il centenario della riforma che porta il nome di Giovanni Gentile, e fra un anno l’ottantesimo anniversario della sua morte: Gentile fu ucciso dai partigiani proprio nella Firenze che oggi riscopre per fortuna la sua anima antifascista, il 15 aprile del 1944. Valditara è un gentiliano piccolo piccolo.
Non è semplice comprendere l’ambivalenza di una figura come Gentile, non foss’altro perché «il progetto educativo gentiliano è forse l'ultima nicchia in cui la cultura, contrapposta alla politica, continua ad essere assolta, o quasi, da ogni contaminazione con il regime. Non è un caso che finora le ricostruzioni storiche del ventennio abbiano lasciato raramente uno spazio autonomo all’istruzione, in contrasto con l'individuazione della scuola e della lingua come tratti forti dell'identità culturale e nazionale» (questa citazione è della storica, fiorentina anche lei, Monica Galfrè, autrice di Il regime degli editori. Libri, scuola e fascismo (Laterza 2005) e Tutti a scuola! L'istruzione nell'Italia del Novecento (Carocci 2017)
È innegabile che il ventennio si identifichi, durante e dopo, anche con la sua presenza capillare, ingombrante, profonda di Giovanni Gentile e della sua riforma; anche ricostruire le istanze degli avversari ci porta ad ammetterne la centralità per contrasto.
«La più fascista delle riforme» non è stata ideata da un fascista in nome di una costruzione ideologica del fascismo? Riassumiamo il rapporto tra Gentile e il fascismo.
La riforma del popolo
L’adesione di Gentile al fascismo formalizzata con la nomina a ministro della Pubblica istruzione nell'ottobre 1922 e la sua adesione al Pnf nel maggio 1923, si fonda sulla volontà di attuare la riforma educativa e gettare così le basi di una sorta di riforma politico-religiosa del popolo italiano.
Le biografie principali di Giovanni Gentile, come quella di Manlio Di Lalla, Sergio Romano, Gabriele Turi lasciano aperta la dialettica tra il filosofo e il regime; il giudizio storico che spesso continua a prevalere sulla figura di Giovanni Gentile è quello che ne dà per primo Eugenio Garin nel 1955, e che viene ripresa dagli anni Sessanta fino a oggi: un (filosofo) liberale che esprime una cultura diversa dal regime fascista.
Il liberalismo non fascista (che però tollera il fascismo) che è esattamente quello che oggi Valditara rivendica come suo orizzonte culturale di riferimento.
Ma possiamo storicamente ragionare proprio su questa contraddizione incarnata da Gentile come da Valditara.
A indicare come l’adesione sia talmente stretta da poter dire che il gentilianesimo fu un’ideologia organica e imprescindibile nell’edificazione dell’ideologia fascista, abbiamo alcuni incontrovertibili fatti storici.
Gentile è stato il ghostwriter di Benito Mussolini, persino nella voce dottrina del fascismo per l’Enciclopedia italiana, è stato ministro della Pubblica istruzione del governo fascista, è stato estensore del Manifesto degli intellettuali fascisti, è stato senatore fascista, è stato fondatore e presidente dell’istituto nazionale di cultura fascista, è stato l’ideatore del giuramento di fedeltà al regime fascista dei professori universitari, è stato presidente dell’Accademia d’Italia durante la Repubblica sociale italiana... Cos'altro occorre fare per essere fascisti?
La lettura che vuole distinguere Gentile da una partecipazione incondizionata e convinta al fascismo, sembra determinata più da una conflittualità interna al potere fascista stesso – come ha ricostruito per esempio la storica Alessandra Tarquini nel suo Gentile dei fascisti - che a una sostanziale distanza o una differenza di qualche segno.
L’intellettuale e il regime
Chi si è distaccato da questa prospettiva, sottolineando invece l’organicità di Gentile con il regime, l’ha fatto in prima istanza analizzando il contributo alla costruzione dell’ideologia fascista – tra gli altri Augusto Del Noce, Renzo De Felice, Emilio Gentile, che ne hanno analizzato una sudditanza permanente nel tempo.
La critica più ricorrente a questa lettura è quella espressa per esempio dal filosofo liberale Gennaro Sasso, che mette in guardia da un’interpretazione del suo pensiero che cerchi di culturalizzare la sua filosofia. Chiaramente questo genere di questione storiografica è quanto mai attuale (possiamo pensare ad esempio al dibattito recente su Heidegger e il nazismo.)
Ma l’interrogativo che è giusto porsi è: quale rapporto intercorre tra il pensiero di un intellettuale e il regime che sostiene? Vale per un ministro che da intellettuale interpreta in modo così invadente lo spazio del dibattito pubblico e della censura della libertà di espressione e di insegnamento e proprio Giovanni Gentile.
L’ultima biografia di Giovanni Gentile scritta da Mimmo Franzinelli, Il filosofo in camicia nera, riesce – alla luce di un’analisi sistematica del carteggio tra Gentile e Mussolini e della sua attività intellettuale – a ricostruire come «nel regime il ruolo di Gentile non fu principalmente quello di filosofo, bensì di politico e di organizzatore culturale» ma anche e soprattutto “mostra in concreto in che modo sotto la legittimazione filosofica dell’attualismo del neo idealismo, egli si sia sentito autorizzato ad assecondare l’impiego politico e discrezionale della violenza.
Dal delitto Matteotti alla svolta dittatoriale del 3 gennaio 1925, dall’esaltazione dell’invasione dell’Abissinia sino al supporto alla Rsi, Gentile ebbe buon gioco, finché gli riuscì di spacciare per lealtà e coerenza di principio quello che risulta fondato su scelte di campo dettate da ragioni opposte a quanto dichiarato.
È proprio in quest'ambivalenza nel rapporto tra liberali e fascisti che si muove la reprimenda di Valditara alla preside del Leonardo Da Vinci. Ben disposti a indignarsi per gli attacchi alla libertà di espressione, ma soprattutto a legittimare de facto le violenze squadriste davanti alle scuole.
Ha ragione la professoressa Savino a citare come il brodo velenoso che ha alimentato il fascismo fin dalla sua fase genetica sia stato proprio questo: l’indifferenza dei benpensanti, la connivenza dei liberali.
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