- La didattica di questi mesi - o meglio, di questi due anni - non è stata didattica digitale. È stata una riproposizione, online, della didattica frontale.
- Le cause del problema sono da ricercare nella didattica, non nella tecnologia. Il modello della didattica unidirezionale che è stato utilizzato anche online - un modello che, troppo spesso, trascura le esigenze dei singoli studenti - non funziona né online né in classe.
- Il dibattito che sentiamo da mesi è: Dad, sì o no? Invece, potremmo cominciare ad approfondire insieme altre domande. Per esempio, come può il digitale aiutarci a rendere la didattica più inclusiva, partecipativa e più efficace?
Cogliendo l’invito del professor Marco Marzano, continuiamo a riflettere sulle direzioni della didattica online «prima che sia troppo tardi». Partiamo però dal chiederci: troppo tardi per cosa? Troppo tardi per combattere la mancata interazione degli studenti durante le lezioni? Troppo tardi per disabituarci alle comodità del digitale? O forse, più semplicemente, troppo tardi per definire una questione di termini, un’incomprensione che rischia di generare un boomerang anti tecnologia nella percezione delle persone.
La prima cosa da fare è chiarire questo punto: la didattica di questi mesi - o meglio, di questi due anni - non è stata didattica digitale. È stata una riproposizione, online, della didattica frontale, per Indire, il 96 per cento dei docenti non ha cambiato la propria metodologia durante l’emergenza sanitaria. E siamo tutti d’accordo sul fatto che questo tipo didattica sia inefficace.
A questo proposito, molti hanno citato i risultati delle prove Invalsi 2021. Come mostrano i dati degli anni precedenti alla pandemia, tuttavia, il problema è più profondo, e non è legato soltanto alla situazione emergenziale che abbiamo vissuto, considerando che già nel 2015 eravamo scesi dal 32esimo al 34esimo posto (su 35!) fra i paesi Ocse per le competenze valutate attraverso i test Programme for international student assessment (Pisa-Invalsi).
Una didattica che non funziona
Le cause del problema sono quindi da ricercare più lontano: nella didattica, non nella tecnologia. Il modello della didattica unidirezionale che è stato utilizzato anche online - un modello che, troppo spesso, trascura le esigenze dei singoli studenti - non funziona né online né in classe.
Parlando di passaggio “dal teatro alla Tv”, Marzano coglie un’immagine chiara di come venga pensata oggi la didattica: gli studenti, nelle classi degli istituti italiani, sono spettatori. E se invece diventassero qualcosa di più? Se usassimo le nuove tecnologie non per sostituire i momenti in presenza, ma per rinnovare la nostra idea di insegnamento e apprendimento, rendendola più vicina alle necessità dei singoli alunni e più adatta a generare partecipazione?
Il passaggio che ci auspichiamo nella didattica non è quello dal teatro alla Tv, e nemmeno un ritorno dalla Tv al teatro. La didattica digitale può, invece, se usata nel modo giusto, proporre un passaggio diverso, rendendo il mondo un’aula.
Le piattaforme digitali, infatti, danno a tutti la possibilità di imparare in maniera attiva e partecipata, collaborando con i docenti e con i propri compagni dovunque e in qualsiasi momento. Ma di questo se ne parla pochissimo.
Nessuna distanza
Ovviamente, in lezioni che mimano quelle che sono state fatte finora, gli studenti che si connettono a distanza - mentre una parte di loro si ritrova in classe - parteciperanno meno se i modi per coinvolgerli si riducono ai cinque minuti di domande lasciati al termine di due ore di lezione frontale o alla classica frase: “Qualcuno ha richieste, spunti, riflessioni?”.
I modi per permettere ai ragazzi di partecipare - per davvero - alle lezioni, sia online che in presenza, esistono: dal social learning al debate e alla flipped classroom, e possono essere molto più inclusivi delle metodologie tradizionali.
In Italia, però, non abbiamo ancora dei dati che ci dicano quanti docenti mettano davvero in pratica le nuove metodologie. E questa situazione la si deve anche alla mancanza di formazione: oggi solo il 30 per cento dei docenti segue un corso di formazione su Sofia, la piattaforma del ministero dell’Istruzione.
Piuttosto, siamo sicuri che gli studenti non parteciperebbero di più con attività didattiche diverse, che allenino anche altre competenze - come il lavorare in team - e che favoriscano l’interazione? Pensiamo davvero che si impari soltanto quello che si ascolta nelle aule? Non è forse la didattica frontale il modo migliore per mantenerle, le distanze?
Il dibattito che sentiamo da mesi è: Dad, sì o no? Invece, potremmo cominciare ad approfondire insieme altre domande. Per esempio, come può il digitale aiutarci a rendere la didattica più inclusiva, partecipativa e - soprattutto, basandoci sui dati - più efficace?
Cominciamo a parlare di teach to learn, di competenze, di flipped classroom, di soft skill, di educazione digitale. Non solo per la didattica online, ma anche - e soprattutto - per quella in classe.
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