- Sembra che sul palco del Festival di Sanremo siano state dette molte cose di sinistra.
- Ma credo che nessuno di quei dodici milioni di telespettatori, un quinto degli italiani, i restanti quarantotto milioni hanno preferito fare altro, si sia “buttato a sinistra” (copyright il principe de Curtis).
- Tutti (o quasi) dovrebbero porsi il duplice problema storico se nell’Italia repubblicana è davvero esistita l’egemonia culturale della sinistra delle loro idee e quale sia stato l’impatto di quella egemonia sulla vita e sulla cultura degli italiani.
Sembra che sul palco del Festival di Sanremo siano state dette molte cose di sinistra. Sembra che sia di sinistra anche strappare una imbarazzante foto di attuale viceministro di Fratelli d’Italia con camicia nazista.
Ma, a parere di alcuni commentatori di destra il massimo della ritornante egemonia culturale della sinistra (sic) sarebbe stato raggiunto in quello che a me e al direttore di questo giornale è parso lo sgangherato e un po’ ripetitivo monologo di disinvolto elogio alla Costituzione fatto da Roberto Benigni (il comico che nel 2016 annunciò di votare a favore delle stravolgenti riforme renziane alla “Costituzione più bella del mondo”).
“Salvare” la Costituzione dal progetto malamente considerato eversivo di una trasformazione semi-presidenziale.
E poi dicono che Macron, presidente di una Francia semipresidenziale, è troppo suscettibile: gli danno del leader autoritario!
Di sessualità fluida et similia poco so, ma credo che nessuno di quei dodici milioni di telespettatori, un quinto degli italiani, i restanti quarantotto milioni hanno preferito fare altro, si sia “buttato a sinistra” (copyright il principe de Curtis) vedendo alcune immagini conturbanti.
Nel passato, il Festival di Sanremo non incrinò e non rafforzò l’egemonia nazional-popolare della Democrazia Cristiana e non mise mai in crisi l’egemonia culturale della sinistra.
Anzi, con il passare del tempo tutti (o quasi) dovrebbero porsi il duplice problema storico se nell’Italia repubblicana è davvero esistita l’egemonia culturale della sinistra, ovvero dei partiti di sinistra, dei loro dirigenti, dei loro intellettuali di riferimento, delle loro idee e quale sia stato l’impatto di quella egemonia sulla vita e sulla cultura degli italiani.
Senza intellettuali
So di sollevare un interrogativo enorme al quale probabilmente persino Gramsci sarebbe riluttante a formulare una risposta. Ma, se l’egemonia culturale ha bisogno quasi per definizione di intellettuali, più o, molto meglio, meno “organici”, continua a rimanere vero che le idee camminano sulle gambe degli uomini (e delle influencer), quali intellettuali (di sinistra) hanno frequentato l’ultimo di Festival di Sanremo? E quali intellettuali di destra avrebbero dovuto essere invitati in alternativa, a fare da contrappeso (il dibattito nooooo)?
Mi accorgo che sto personalizzando, ma, se si è interessati a capire l’evoluzione dell’egemonia culturale, del confronto e dello scontro di idee, di progetti, di visioni di società, non solo è indispensabile personalizzare, ma bisogna chiedersi se esistono ancora grandi intellettuali o “scuole di pensiero” in grado di produrre cultura, di reclutare adepti, di influenzarli e orientarli, e di egemonizzare i dibattiti e la vita culturale del paese e di chi distribuisce cultura “per li rami”.
Certo qualcuno direbbe che sono scomparse le ideologie del passato. La loro storia è davvero finita. Siamo tutti più poveri, ma anche, forse, più liberi.
Allora, sarebbe forse opportuno chiedersi se siano riformulabili ideologie coinvolgenti e trascinanti e se esistano i formulatori, gli intellettuali pubblici che al pubblico, all’opinione pubblica si rivolgono e in maniera trasparente segnalano come è politicamente e eticamente consigliabile e auspicabile stare insieme/interagire nella società globalizzata.
Molte destre e qualche sinistro rispondono con il sovranismo che ideologia è, ma a contatto con le dire lezioni della storia (Hegel) scricchiola, traballa e cerca di adeguarsi. Qualcuno, anche tramite l’ultranovantenne Jürgen Habermas si aggrappa al “patriottismo costituzionale” non privo di ambiguità e inconvenienti.
La mia risposta è che l’europeismo, come storia, come complesso di valori, come pluralismo e pluralità di obiettivi, può essere. non una nuova ideologia, totalizzante e costrittiva, ma la cultura politica di riferimento. A Sanremo non s’è vista neanche l’ombra dell’europeismo.
Fuori, in molte località, centri di ricerca e università, persino nelle sedi radiotelevisive e giornalistiche si trovano studiosi e operatori spesso anche dotati di capacità, in grado di cantare le lodi dell’Unione Europea e dell’idea d’Europa. Però, mancano i predicatori dell’europeismo possibile e futuro: Jean Monnet, Altiero Spinelli, Jacques Delors. Oggi e domani non dovrebbe preoccuparci nessuna inesistente egemonia, ma dovremmo dolorosamente sentire la diffusa mancanza della materia prima sulla quale può nascere l’egemonia e l’assenza dei suoi facitori.
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