- Il 2020 è stato l’anno di svolta per l’immigrazione italiana: il mercato del lavoro è in sofferenza di manodopera.
- Nel 2036 i livelli di mancanza di forza lavoro saranno drammatici: per ogni nuovo lavoratore andranno in pensione in 5.
- Dal 2030 occorrerà attrarre dall’estero lavoratori e lavoratrici con offerte vantaggiose.
Molto probabilmente dal 2030 andremo a caccia di lavoratori stranieri nel mondo, supplicandoli di venire in Italia a lavorare. È ciò che emerge dall’ultima ricerca dell’Istituto Cattaneo curato dal presidente Asher Colombo e dal noto demografo e già deputato Gianpiero Della Zuanna. In sostanza la ricerca ci informa che l’anno scorso, il 2020, è stato «l’anno di svolta per l’immigrazione italiana», come recita il titolo, mostrando come i flussi stanno calando vertiginosamente dopo un ventennio di crescita. Non si tratta di una buona notizia: alcuni settori del mercato del lavoro sono già in sofferenza di manodopera; tra pochi anni lo sarà tutta l’economia italiana.
Cosa cambia
Il 2020 rappresenta dunque il tornante in cui gli ingressi dall’estero hanno corrisposto alle uscite. Da quest’anno il trend si inverte. La pandemia accentua il fenomeno ma non lo provoca: la ricerca vaglia dati di lungo periodo.
La carenza di manodopera sarà quindi generalizzata, riguarderà tutte le regioni del paese, sia il nord sia il sud, e tutti i settori senza eccezioni, sia quelli qualificati sia quelli a bassa qualificazione.
Tale “carattere recessivo” dell’immigrazione sta già sommandosi al declino demografico interno, e prepara per il nostro paese una vera crisi di ricambio della forza lavoro.
Prendendo i dati Istat di lungo periodo notiamo che il saldo migratorio (differenza tra le entrate e le uscite) è stato negativo o pari a zero dal dopoguerra fino all’inizio degli anni Novanta. Dopodiché è diventato positivo con una punta nei primi 10 anni del nuovo millennio (picco nel 2007). Ma dal 2015 è di nuovo in rapida discesa e sta tornando a zero.
Parallelamente siamo entrati in inverno demografico per le nascite. Così la popolazione italiana è calata: dopo aver toccato i 60 milioni ora andiamo verso i 58 (a confronto la Francia che era pari a noi, sta ora a 67 milioni).
Ovviamente si tratta anche di un fenomeno a circolo vizioso: meno abitanti, meno lavoro, meno lavoratori e così via. Ma il rischio è un’accelerazione che ci spinga verso il basso più velocemente di quanto sia necessario. In altre parole se il paese non è appetibile, ci sarà un effetto reputazionale e i potenziali immigrati andranno altrove.
C’è chi se ne rallegra perché in maniera miope ha caricato tutte le colpe delle recente crisi italiana sulle spalle dei migranti. Ma anche per costoro il risveglio sarà duro perché il risultato di un’economia che si spegne è la desertificazione produttiva: Pil in picchiata o che langue disperatamente.
Lo si vede dalla situazione del sud: laddove le migrazioni sono state minori e l’accesso nel mercato del lavoro più difficile, il Pil è rimasto stagnante. Se presi a parte, infatti, sud e isole hanno un saldo migratorio quasi sempre negativo salvo divenire debolmente positivo attorno al 2007. Nel nord invece il saldo migratorio è stato stabilmente positivo dal 1990. Il punto è che ora nord e sud tendono ad assomigliarsi ma al livello più basso.
Il futuro
Di conseguenza gli errori commessi in questi ultimi 20 anni ci portano a un futuro che il rapporto considera “già scritto”. Se si considera solo la forza lavoro, da qui al 2036 (senza contare né la natalità né la mortalità perché i futuri lavoratori del 2036 sono già nati), si notano livelli di mancanza di forza lavoro superiori agli attuali. Al nord per ogni nuovo ingresso nel mondo del lavoro andranno in pensione in cinque.
Per esempio il rapporto stima che, anche se la domanda di lavoro domestico e di prossimità (colf e badanti) da parte delle famiglie restasse costante, non ci sarà offerta sufficiente e occorrerà andare a reclutare all’estero. Nel caso della forza lavoro maschile non diplomata del nord, nel 2036 a ogni ingresso corrisponderanno ben sei pensionamenti (oggi il rapporto è uno a tre). Al sud la situazione sarà migliore ma sempre negativa. In sintesi: al nord per ogni 100 uscite ci saranno solo 82 entrate; al sud 98.
Immaginate la scena: fino ad ora le nostre ambasciate all’estero si sono difese dai potenziali immigrati con forti restrizioni sui visti e occhiute indagini sui candidati al viaggio.
Dal 2030 invece staranno sempre con le porte aperte con dépliant che incoraggino lo straniero a venire a lavorare in Italia. Un altro mondo.
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