- Contro l’inflazione, che nell’eurozona è arrivata all’8,1 per cento di maggio, l’Europa sembra avere solo una politica: quella della Bce attraverso lo strumento monetario.
- In queste condizioni, una stretta monetaria ha ben pochi effetti sull’inflazione mentre può avere effetti molto negativi sui tassi di crescita, favorendo la temuta stagflazione.
- Sarebbe opportuno che la Bce, nell’ipotesi di un prossimo aumento dei tassi d’interesse, si ponesse anche l’obiettivo di contenere gli aumenti degli spread per evitare una frammentazione del mercato monetario europeo.
Contro l’inflazione, che nell’eurozona è arrivata all’8,1 per cento di maggio, l’Europa sembra avere solo una politica: quella della Bce attraverso lo strumento monetario. La presidente della Bce Chriistine Lagarde ha annunciato la fine degli acquisti di nuovi titoli di debito e un aumento dei tassi di interesse. presumibilmente dopo l’estate. Ma, può una stretta monetaria ridurre l’inflazione in Europa? La risposta è no, perché una stretta monetaria incide sulla domanda la cui riduzione dovrebbe favorire un rallentamento dell’inflazione.
Ma in Europa non c’è un eccesso di domanda, che anzi si sta riducendo anche a causa della guerra. In Europa c’è inflazione importata da energia e materie prime, oltre che da alcune strozzature d’offerta per beni intermedi la cui disponibilità è limitata per la rottura delle filiere di produzione dopo la pandemia e per le tensioni internazionali.
In queste condizioni, una stretta monetaria ha ben pochi effetti sull’inflazione mentre può avere effetti molto negativi sui tassi di crescita, favorendo la temuta stagflazione. Sarebbe invece necessario avviare politiche di ampliamento dell’offerta e di liberalizzazione dei mercati per ridurre le carenze di offerta, sia nel campo energetico che nei settori tecnologici.
Un aumento dei tassi di interesse non sarebbe un dramma, dato che ora sono negativi e sarebbe bene tornare a tassi positivi. E forse anche una stretta del credito potrebbe non avere effetti significativi sull’economia, dato che molte imprese hanno un eccesso di liquidità mentre stanno anche ridimensionando i loro piani d’investimento a fronte delle incertezze della guerra.
Quello che preoccupa in queste condizioni è un aumento dello spread che sempre si accompagna agli aumenti dei tassi d’interesse e che potrebbe essere esaltato proprio dalla decisione della Bce di non procedere ad acquisti aggiuntivi di titoli di debito pubblici o privati.
I mercati reagirebbero penalizzando i titoli dei paesi con i maggiori debiti pubblici, come il nostro paese, non più sorretti dalla Bce, ciò che genererebbe un aumento dello spread rispetto ai titoli della Germania. Ne deriverebbe una frammentazione del mercato monetario europeo e l’Italia ne sarebbe penalizzata.
Si riproporrebbe, così, la necessità di strette fiscali proprio mentre bisognerebbe sostenere in Europa la domanda interna drenata dagli aumenti dell’inflazione importata.
Sarebbe dunque opportuno che la Bce, nell’ipotesi di un prossimo aumento dei tassi d’interesse, si ponesse anche l’obiettivo di contenere gli aumenti degli spread per evitare una frammentazione del mercato monetario europeo, mantenendo una politica selettiva di acquisto dei titoli di debito. Ciò anche al fine di difendere la tenuta dell’euro.
C’è da sperare che simili preoccupazioni siano tenute presenti a Francoforte e a Bruxelles.
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