- Le notizie odierne sulla finanza pubblica del 2021 sono di gran lunga migliori rispetto alle aspettative, sia per la sostanziosa riduzione del debito pubblico sia per quella del deficit.
- Sono molte le lezioni da trarre da questi primi sviluppi positivi, e non da ultimo che le politiche responsabili in Italia e in Europa pagano (e non fanno pagare gli italiani), e che di questo bisognerebbe tenerne conto per il futuro.
- L’Italia è passata attraverso una crisi epocale, con uno shock per molti versi superiore alla crisi del 2008-09 e di quella successiva del 2011-12. Eppure, grazie alle politiche economiche adottate in Italia e in Europa, è riuscita a limitare i danni.
Buone notizie per le finanze pubbliche. L’aveva preannunciato il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco al convegno annuale AssiomForex sabato scorso, ora è uscito il Bollettino Statistico con i dati preliminari di finanza pubblica relativi al 2021. Il primo marzo l’Istat pubblicherà il dettaglio con i rapporti sul Pil.
L’Italia è passata attraverso una crisi epocale, con uno shock per molti versi superiore alla crisi del 2008-09 e di quella successiva del 2011-12. Eppure, grazie alle politiche economiche adottate in Italia e in Europa, è riuscita a limitare i danni.
Il debito pubblico ha chiuso il 2021 a 2.678,4 miliardi di euro, che secondo le mie stime equivale a circa il 150,8 per cento del Pil rispetto al 155,6 per cento del 2020 e il 153,5 per cento delle proiezioni ufficiali per il 2021.
Il risultato è stato peraltro conseguito nonostante un aumento di 5 miliardi di euro (0,3 per cento del Pil) nel saldo del conto disponibilità della Tesoro presso la Banca d’Italia per il servizio di tesoreria ed altre posizioni minori.
La definizione del debito di Maastricht è su base lorda, non è cioè "nettato” per le posizioni a credito (47,5 miliardi a fine 2021). Inoltre, si sono verificati effetti sfavorevoli di rivalutazione, differenze tra sconti e premi di emissione e di rimborso ed effetti cambio per la piccola quota del debito non denominata in euro. Hanno complessivamente peggiorato il debito di altri 7,8 miliardi (0,4 per cento di Pil).
I prestiti dalle istituzioni europee sono aumentati di 27,0 miliardi nel 2021 (prevalentemente SURE e Recovery and Resilence Facility), raggiungendo un totale di 43,4 miliardi (2,4per cento del Pil), a un tasso quasi pari a zero.
In un periodo così difficile i titoli a medio e lungo termine sono aumentati andando a rappresentare il 79,3 per cento del totale del debito, riducendo pertanto il rischio di rifinanziamento e aumentando la sua vita media a 7,6 anni.
Le buone notizie non si fermano qui. Il deficit è diminuito più del previsto, scendendo a 92,1 miliardi di euro, che secondo le mie stime equivale al 5,2 per cento del Pil. È notevolmente al di sotto del 9,6 per cento del Pil (156,6 miliardi) dello scorso anno e significativamente più basso delle proiezioni ufficiali del 9,4per cento.
Infine, la quota di debito italiano detenuta dal Banca d’Italia per il programma d’acquisto di titoli del settore pubblico dell’Eurosistema è salita al 25,3per cento a fine 2021 (21,6per cento a fine 2020), a cui si aggiunge la posizione della Banca Centrale Europea. Per questo stock, la Banca d’Italia distribuisce dividendi annuali che in buona parte confluiscono nelle casse dello Stato.
Promettere poco, mantenere molto
Che dire di tutte queste cifre? Almeno in materia di finanza pubblica, ma probabilmente anche in molti altri aspetti della vita pubblica e privata, incluso in politica, è meglio promettere poco e mantenere molto. Così ha fatto l’attuale governo, e soprattutto il ministro dell’Economia Daniele Franco. Ma anche che ogni promessa (dei politici) è un debito, come è nelle cronache di questi giorni, e che contemporaneamente alle promesse sarebbe necessario anche dire chi poi le pagherà.
La seconda lezione è che la migliore (e più indolore) ricetta per migliorare le finanze pubbliche è la crescita economica, anche se probabilmente questa dovrà abbinarsi ad una graduale correzione di bilancio non appena le condizioni economiche lo permetteranno.
Tuttavia, l’attuale fase favorevole nella quale il rimbalzo dell’economia si abbina ad una spesa per interessi ancora molto bassa prima o poi finirà. Per far sì che la crescita diventi sostenibile, anche in relazione alla spesa per interessi, non bastano gli investimenti ma servono anche le riforme strutturali.
La terza lezione è che la buona politica paga (e soprattutto non fa pagare gli italiani). E di questo si dovrebbe tener conto alle prossime elezioni per uscire dagli slogan populistici visti in passato e continuare con l’attuale fase più matura e responsabile di politica economica.
Infine, si dovrebbe smettere di considerare le politiche adottate dall’Unione europea quasi come un atto dovuto, o un risarcimento per gli errori del passato.
Le forze politiche, e gli italiani, dovrebbero riconoscere che questi primi incoraggianti risultati di finanza pubblica sono anche il risultato delle iniziative adottate in Europa. L’Italia non dovrebbe essere solo riconoscente, ma dovrebbe anche responsabilmente e convintamente contribuire a queste politiche ancor più di quanto fatto in passato.
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