- «La pace sociale in Europa ha bisogno del ritorno della disciplina fiscale», scrive sul Financial Times Wolfgang Schaeuble, oggi presidente del parlamento tedesco, il Bundestag.
- Il bersaglio è l’Italia: «L’esperienza mostra che nei paesi con alto livello di debito non si riescono a ottenere bilanci in equilibrio senza una pressione esterna».
- La partita per il futuro dell’Europa, insomma, è cominciata e si disputa come sempre sul campo del debito pubblico italiano. La posta in gioco è la ripresa dell’economia italiana e i suo destino.
«La ripresa economica è qui e non assomiglia a niente di quello che avete visto finora»: il titolo del Wall Street Journal riassume l’euforia che si percepisce, da una parte all’altra dell’Atlantico. I vaccini stanno facendo il loro dovere, la spesa pubblica anti-crisi alimenta il boom, resta soltanto una minaccia immediata: che ritorni il dibattito sull’austerità visto dieci anni fa e che cominci troppo presto la pressione su banche centrali e governi perché ritirino gli stimoli straordinari che stanno spingendo le economie occidentali fuori dalla recessione da Covid.
«La pace sociale in Europa ha bisogno del ritorno della disciplina fiscale», scrive sul Financial Times Wolfgang Schaeuble, oggi presidente del parlamento tedesco, il Bundestag, dieci anni fa ministro delle Finanze di Angela Merkel che si opponeva a tutte le misure di condivisione del rischio a livello europeo.
«Dobbiamo tornare alla normalità fiscale e monetaria, il fardello del debito pubblico deve essere ridotto, altrimenti c’è il pericolo che la pandemia da Covid sia seguita d auna pandemia da debito», scrive Schauble. Il suo ragionamento ha alcuni punti solidi e altre falle.
Punti solidi: è vero che i prezzi stanno correndo, come effetto della spinta fiscale (deficit) e monetaria (acquisti di titoli in euro da parte della Bce, tassi sotto zero).
Al momento quasi tutti gli economisti sono convinti che si tratti di fiammate dovute al riassestamento dell’economia dopo i mesi dei lockdown: è vero che a maggio i prezzi in Germania sono saliti del 2,5 per cento, il record dal settembre 20211, ma Unicredit sostiene che «questo andamento non segnala spinte inflazionistiche», ci sono aumenti di prezzo per materie prime in questo momento quasi introvabili, oppure nella logistica (tutti vogliono acciaio, rame, container… perché tutti stanno producendo tanto nello stesso momento) ma questi rincari non stanno passando ai consumatori finali, non si vede pressione sui salari che potrebbe innescare la temuta spirale: prezzi più alti che vengono compensati da salari più alti che spingono le imprese ad alzare ancora i prezzi e così via.
La marcia indietro
Diverse banche centrali, comunque, stanno dando segnali di timidi ritorni alla normalità: dal Canada alla Gran Bretagna al Giappone, i paesi principali stanno rallentando gli acquisti di titoli obbligazionari per tenere bassi i rendimenti.
La Federal Reserve americana ha annunciato la fine del programma di acquisti di obbliggazioni private di imprese, lanciato a marzo 2020 quando la crisi da Covid si stava trasformando senza preavviso in una crisi finanziaria in stile 2008. Sono piccole cifre, la Fed oggi detiene soltanto 13.7 miliardi di dollari di obbligazioni societarie non scadute, le rivenderà un po’ alla volta.
La Bce per ora mantiene le sue politiche espansive, cruciali per l’Italia, visto che il rendimento di un Btp a 10 anni sul mercato oggi è 0,9 per cento, la metà di un anno fa.
La falla nel ragionamento di Schaeuble è che finora il debito è aumentato in valore assoluto mentre la spesa per interessi diminuiva, grazie all’intervento delle banche centrali.
Ma il ministro tedesco Schauble ignora questo dettaglio, o forse lo considera parte del problema, e scrive sul Financial Times che «L’esperienza mostra che nei paesi con alto livello di debito non si riescono a ottenere bilanci in equilibrio senza una pressione esterna».
Il riferimento è all’Italia, come Schauble rende esplicito poche righe dopo, con la citazione del premier Mario Draghi: insieme hanno discusso di “azzardo morale” (l’eccesso di rischi che il debitore prende scommettendo di essere salvato) e si sono trovati concordi che “gli stati membri dell’Ue hanno la responsabilità di adottare politiche finanziarie sostenibili e perseguire la competitività”.
La linea di Draghi
Arruolare Draghi al fronte dell’austerità però è davvero forzato: per tutta l’ultima parte del suo mandato da presidente della Bce, Draghi ha chiesto agli stati di spendere di più per stimolare una ripresa rimasta asfittica dopo la crisi del 2011, oggi da presidente del Consiglio continua a varare nuovo deficit per decine di miliardi.
I numeri presentati ieri dal Fondo monetario internazionale sembrano confermare che questa è la strada giusta, almeno nel breve periodo: è vero che nel 2021 il deficit salirà all’11,8 per cento (dal 9,5 del 2020), ma il Pil rimbalzerà del 4,3 per cento dopo essere sceso di quasi il 9, e anche nel 2022 la crescita attesa è del 4 per cento, trainata da esportazioni sopra il 9 per cento (ma crescono anche le importazioni, segno che pure la domanda interna tira). L’inflazione non dovrebbe superare l’1 per cento annuo, metà dell’obiettivo europeo al 2.
La Commissione europea, al momento, è molto più in linea con Draghi che con Schaeuble e ha comunicato che anche nel 2022 il patto di Stabilità rimarrà sospeso: nessun obbligo di portare il deficit al 3 per cento e spingere il debito verso il 60 per cento del Pil (oggi l’Italia è intorno al 160).
«Sappiamo tutti che i deficit di bilancio dovranno essere ridotti rispetto ai livelli eccezionali di quest’anno e dello scorso anno», ha detto Paolo Gentiloni, Commissario europeo all’Economia, «tuttavia, ciò deve essere fatto in modo tale da non ripetere l’errore di sacrificare gli investimenti pubblici e altre spese produttive necessarie per la futura crescita delle nostre economie».
Mentre il patto è sospeso, però, è in corso un dibattito tecnico e politico su come ripensarlo. Schaeuble lo sa, come sa che da settembre verrà meno la leadership di Angela Merkel e, nel vuoto, la posizione di Draghi diventerà più rilevante.
La partita per il futuro dell’Europa, insomma, è cominciata e si disputa come sempre sul campo del debito pubblico italiano. La posta in gioco è la ripresa dell’economia italiana e i suo destino.
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