Il tema del campo largo dovrebbe essere sostituito da quello dell’alleanza sociale per l’inclusione e la crescita felice. Si deve costruire a un patto di legislatura che faccia perno sulla difesa del lavoro. Non siamo di fronte a una possibile sconfitta delle sinistre, ma della democrazia stessa
Ha ragione Gianni Cuperlo quando in un interessante articolo apparso su queste colonne ammonisce, sulla scorta del pensiero di Enrico Berlinguer, ad impedire una saldatura permanente tra il centro e la destra, riaprendo così il tema delle alleanze. Non c’è dubbio che le recenti elezioni liguri hanno posto sul tavolo il tema di un’alternativa politica al primo esecutivo di destra-destra dell’Italia nata dalla Resistenza antifascista.
Nello stesso tempo hanno rivelato agli occhi del paese che il campo largo inteso come mera ammucchiata di sigle non esiste, è una invenzione mediatica, dominato com’è dai veti reciproci e dal consapevole o inconsapevole boicottaggio del proprio campo. In sostanza non si è avuto nessun pudore nel segare il ramo su cui si è seduti.
La cosa più singolare sta nel non avvertire che, nella drammatica situazione nazionale e internazionale in cui la democrazia si sta restringendo sempre di più a est e anche a ovest, la stantia contrapposizione tra “opposizione del no” e “opposizione del sì” dovrebbe trovare la sua composizione in una sintesi alta tra le due esigenze: quella di dire un “no” chiaro e forte contro la deriva autoritaria e dei “si” capaci di parlare all’insieme del paese.
Nella società
Dove il comune no si fonda sulla consapevolezza dei rischi che la democrazia sta correndo e dove è indubbio che in un paese governato da una destra-destra è necessaria non soltanto una alternativa di sinistra ma una “vasta alleanza” di tutta la democrazia militante i cui confini non sono definibili da alcuna aprioristica esclusione o inclusione bensì dal programma. Ed è proprio sul terreno del rapporto tra programma e alleanza che è necessario un cambio di passo. Il tema delle alleanze e del cosiddetto allargamento all’area moderata deve spostarsi al terreno delle “alleanze nella società”.
Le alleanze si fanno prima nella società che nel cielo della politica. La politica ha il dovere di alimentarle e di fornire loro una rappresentanza unitaria. Tutto il contrario dell’unità per l’unità. Il tema del campo largo dovrebbe essere sostituito da quello dell’alleanza sociale per l’inclusione e la crescita felice.
Il che richiederebbe chiare definizioni programmatiche da mettere a confronto per i “compromessi necessari”, se si vuole dar vita a programmi di legislatura che non coincidono necessariamente con tutti i “fondamentali”. Gramsci diceva che i partiti sono delle nomenclature della società. Ciò vuol dire che il compromesso che conta non è quello tra sigle e persone ma è il “blocco sociale” che si intende rappresentare.
Ma per dar vita a un blocco sociale allargato occorre la consapevolezza che non c’è nessun personaggio che per diritto divino rappresenta i moderati o gli operai. Soltanto il programma può determinare quella alleanza nella società che è alla base di una effettiva alleanza politica.
Ritengo che si debba lavorare per un patto di legislatura che, facendo perno sulla difesa del mondo del lavoro e dei poveri, si allarghi al sostegno delle imprese che muovono nella direzione dell’innovazione, della transizione ecologica e verso tutte le attività che producono in una direzione opposta a quella della finanziarizzazione.
E ciò lungo due direttive: quella della riaffermazione di una funzione primaria dell’intervento pubblico, volta a orientare il mercato verso il “bene comune”; e quella di una politica che vada a cercare i soldi dove ci sono. Qui c’è solo l’esemplificazione del primo nucleo di una proposta alternativa al governo della destra.
Ma perché si abbia la propensione al compromesso occorre la comune consapevolezza che stiamo vivendo momenti pericolosi che non riguardano solo i destini delle sinistre ma le prospettive di quanti vogliono che la democrazia sia corroborata dalla libertà di tutti.
Cosa c’è in gioco
È questo sentimento che dovrebbe cementare il comune no alla deriva illiberale. Vero, rimangono alcune sensibili differenze sulla politica estera. Tuttavia non possiamo nasconderci che il tema del tipo di difesa da garantire all’Ucraina, al momento in cui sarà in campo l’alternativa di governo, non sarà più al centro delle decisioni.
Credo, invece, che il tema su cui dovrà misurarsi l’alternativa democratica sarà quello della linea su cui ricostruire un ordine internazionale multipolare nel quale sia garantita l’autonomia strategica di un’Europa, che non c’è, ma per la quale tutte le forze democratiche dovrebbero battersi se vogliono contrastare l’onda nera che si sta abbattendo sul pianeta. Un impegno volto a proporre una uscita dall’attuale disordine internazionale nel quadro di una visione alta dei rapporti tra i popoli che muova al di fuori di ogni rinnovata proposta di blocchi e di contrapposte alleanze militari.
Ma la novità, ora, è che siamo di fronte a elezioni che possono cambiare le sorti del mondo. Tutti i democratici devono capire che non si decide se vince o perde la sinistra ma se vince o perde la democrazia. E tutti sono chiamati a fare la loro parte. Se invece di accorgerci che stiamo danzando sull’orlo di un abisso inquietante ci si divide sulle ambizioni delle singole identità allora sarà proprio vero, come dicevano gli antichi, “Quos vult Iupiter perdere, dementat prius”, che significa «a quelli che vuole rovinare, Giove toglie prima la ragione».
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