- La "burrasca di distruzione creativa" era per l’economista austriaco Joseph Schumpeter il «processo di mutazione industriale che rivoluziona incessantemente la struttura economica dall'interno, distruggendo senza sosta quella vecchia e creando sempre una nuova».
- La guerra giunge “a fagiolo”, per dirla col nostro Totò, e viene in soccorso dei governi europei senza che si debbano ingegnare a inventare strategie nuove dentro le loro società.
- La complessità dell’occidente è rimasta vittima della logica binaria, aprendo una faglia nella quale si è assestata la legittimità della destra post-fascista e populista, in Italia in primo luogo.
Le guerre non sono una iattura per tutti. Una guerra può essere la “distruzione creativa” di cui parlava Joseph A. Schumpeter e aprire la strada alla ricostruzione economica.
La "burrasca di distruzione creativa" era per l’economista austriaco (ispirato quasi certamente da Karl Marx) il «processo di mutazione industriale che rivoluziona incessantemente la struttura economica dall'interno, distruggendo senza sosta quella vecchia e creando sempre una nuova». Schumpeter parlava della forza interna al capitalismo. Ma anche una guerra vera e propria può essere un investigato sulla distruzione, un lucrativo investimento per coloro che hanno non subito o subito marginalmente gli effetti della violenza devastatrice. Non è irragionevole immaginare che i “Paperoni” di tutti i paesi vedano mucchi di soldi dove tutti gli altri mortali vedono mucchi di rovine fumanti.
Era stato John Maynard Keynes a scrivere che in momenti di stagnazione e disoccupazione, uno stato deve inventarsi un lavoro che non c’è: «Se il ministero del Tesoro dovesse far riempire delle bottiglie di banconote, seppellirle in alcune miniere in disuso per ricoprirle completamente di immondizia (…), non ci sarebbe più disoccupazione». La guerra giunge “a fagiolo”, per dirla col nostro Totò, e viene in soccorso dei governi europei senza che si debbano ingegnare a inventare strategie nuove dentro le loro società. Questo vale soprattutto per l’Italia che da qualche decennio non inventa più né crea lavoro. Il recente viaggio in Ucraina del presidente di Confindustria al seguito del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Alfonso Urso, va in questa direzione.
Insieme alle promesse di offrire aiuti umanitari, gli incontri hanno dato largo spazio agli impegni italiani nel campo degli aiuti economici e alla cooperazione industriale e tecnologica per porre le basi delle possibili partnership per la ricostruzione del paese. In questa breve riflessione vorrei puntare lo sguardo sulle macerie. Non quelle materiali ed economiche però, ma quelle ideali e ideologiche per cercare di individuare quale sia stata la parte politica che ha capitalizzato dalla guerra in Ucraina; per chi questa guerra è stata una “distruzione creativa” e per chi, invece, è stata solo macerie.
Una catastrofe per la sinistra
Questa guerra è stata sotto il profilo ideal-politico una catastrofe per la sinistra (variamente situata da sinistra al centro nella cornice democratica) nel nostro paese. Ha avuto due effetti devastanti: ha rotto il fronte democratico (chiamo così la intera compagine che sta nello spettro antifascista, dalla sinistra al centro) sulla questione del diritto internazionale che condanna senza eccezioni le invasioni militari; e in secondo luogo, ha aperto una faglia dentro la sinistra circa il rapporto ideale con l’occidente.
Nel primo caso, la giusta considerazione sulle responsabilità della Nato e degli Stati Uniti nel non prevedere già dal 2014 le possibili involuzioni nazionali-imperialiste della Russia di Vladimir Putin, ha oscurato il fatto indiscutibile della prima e certa responsabilità di chi aggredisce. Questo principio fondamentale della non-aggressione come condizione indiscutibile della pace e della giustificazione della guerra difensiva contro l’invasore ha trovato una spazio ristretto, spesso coniugato insieme alle considerazioni sulle responsabilità indirette (inazione) dell’Alleanza atlantica e dell’Europa. «Certo, siamo contro l’aggressione dell’Ucraina, ma le responsabilità dell’occidente...». Quali che siano state le responsabilità dell’occidente, quell’aggressione era e resta tale e vale a giustificare che un popolo prenda le armi per difendersi e ricacciare il nemico fuori dal proprio territorio e che la comunità internazionale venga in soccorso.
Nel secondo caso, gli effetti distruttivi sono stati ancora più devastanti. Indubbiamente l’occidente è tante cose – porta responsabilità sul colonialismo, l’imperialismo, l’espansione nel nome del nazionalismo etnico, lo sfruttamento capitalistico dei paesi e delle popolazioni dei terzi mondi del pianeta, e altro ancora. Ma l’occidente è anche quella fucina di valori e di principi che ci fanno vedere quelle storture, che hanno ispirato gli stessi movimenti di liberazione dal colonialismo, che fanno criticare dominazione e ingiustizia, dovunque si manifestano.
La legittimità della destra
Questa complessità dell’occidente è rimasta vittima della logica binaria, aprendo una faglia nella quale si è assestata la legittimità della destra post-fascista e populista, in Italia in primo luogo. La dissonanza di interessi (per ragioni economiche prima di tutto) all’interno delle forze occidentali si è palesata dopo pochi mesi dall’inizio del conflitto, tra una “Super Nato” a trazione Usa e l’Unione europea, anche per la ragione evidente per cui l’America e il Canada sono lontani dal teatro delle ostilità. Ma questa dissonanza sta all’interno di una condivisione di principi politici e di ordini istituzionali: come europei apparteniamo a quello che il ministro degli Esteri russo ha persistentemente chiamato con disprezzo “l’occidente”.
L’uso polemico di questa categoria è stato prevedibile durante i mesi della guerra -- è stato ingannevole e ha prodotto macerie. Come non si deve identificare la cultura russa con il nazionalismo imperiale di Mosca, non si deve identificare l’occidente con quel che ha, anche, prodotto. Questa complessità, ovvero la rinuncia alla logica binaria, è stata il tallone d’Achille nell’opinione di sinistra. L’invasione dell’Ucraina è stata un espediente retorico per attaccare quel che dell’Occidente non ci piace, lasciando in ombra le responsabilità del governo di Valdimir Putin.
L’occidente non è una categoria metafisica. È una costruzione storica non premeditata che ha generato nel corso dei decenni una pluralità di culture storico-politiche e religiose dentro un comune universo di valori civili e politici. Nelle caricature dei critici questa pluralità scompare. L’occidente è complicato, con numerosi sud e nord, con insopportabili ingiustizie e progetti ideali di riforma. Il fatto è che tutti noi sappiamo immediatamente a che cosa ci riferiamo quando elenchiamo queste differenze perché usiamo simili criteri di giudizio per raccontarle. Come altrimenti potremmo criticare, non occidentali, il colonialismo, la schiavitù, le dominazioni, l’evangelizzazione forzata prodotte dall’occidente? Sennonché questa realtà articolata scompare quando ci si riferisce a “l’occidente” come a una categoria valoriale da mitizzare o da stigmatizzare – questa è la logica binaria che ha causato macerie nella cultura politica della sinistra e quindi nel fronte democratico anti-autoritario.
Baluardo della democrazia?
Soprattutto, in questa stigmatizzazione si è incuneata l’astuta strategia ideologica della destra italiana, che si è accreditata come baluardo della democrazia e dell’occidente senza troppa fatica. La parte peggiore dell’occidente ha capitalizzato dalla “distruzione” dell’unione ideale del fronte democratico anti-autoritario e ha vestito i panni della difesa degli aggrediti. La destra nei mesi della guerra ha fatto una giravolta strabiliante: dopo aver amoreggiato con Putin e il suo amico Donald Trump (critico dell’occidente ‘liberal’ accusato di causare la crisi dell’occidente) ha utilitaristicamente preso le parti degli aggrediti, con il risultato che, oggi, in Italia l’Occidente è identificato con Giorgia Meloni e il suo governo.
La crescita della destra è stata anche un portato della guerra. E non perché la guerra sia di destra o di sinistra, ma perché questa guerra in particolare è stata usata da chi l’ha scatenata come grimaldello per destabilizzare l’egemonia democratica nei paesi occidentali, europei in primo luogo, per cercare sostegno ideologico, o anche solo desistenza, al progetto imperiale russo.
Putin aveva già da qualche anno iniziato la sua polemica con le “democrazie liberali” ovvero “l’occidente”, contro le quali rilanciava il modello nazionalista, autoritario e decisionista. Qualche anno fa commentando una risoluzione del parlamento europeo a guida David Sassoli (dichiarato dal Cremlino "persona non grata" per la Russia) contro le ingerenze russe nei media, aveva detto: “tutti ci fanno scuola di democrazia mentre vediamo il degrado in cui versa l’idea stessa di democrazia”. In quel “degrado” non specificato, la Russia di Putin si è buttata a capo fitto con la stessa insistenza con la quale sta bombardando le città ucraine, per lasciare macerie, se è vero che su Russia/Ucraina si sono divise le sinistre democratiche di tutto il mondo, in Italia in modo particolare dove sono stati ridescritti i confini ideologici tra destra e sinistra e internamente alla sinistra.
Non è ancora il tempo per scrivere questa storia sconcertante, perché troppo vicina a noi per non risentire delle nostre passioni politiche. Ma un’introduzione alla riflessione ricognitiva può cominciare ad essere abbozzata, per esempio esaminando gli effetti della guerra sulla nostra democrazia e sulla vittoria della destra.
Questo articolo è estratto dal prossimo numero di La Rivista delle Politiche Sociali (3/4 del 2022)
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