Uno dei problemi della democrazia contemporanea è dunque la mancanza di un partito conservatore moderato. Ma mentre i repubblicani americani si smoderano, nel nostro paese Meloni e i suoi mostrano di voler rimanere inchiodati al loro passato e al loro presente. E rifiutano il grande passo
Immagino il tema di un libro di politica non ancora scritto: “Le fatiche del moderatismo e la storia incompiuta della democrazia del secondo Dopoguerra”.
Scrive Martin Conway in un libro da poco tradotto in italiano, L’età della democrazia. L’Europa occidentale dopi il 1945 (Carrocci, 2023), che l’ordine democratico nato in Europa dopo la guerra porta i segni di una scommessa che sembrava vinta. La scommessa era come moderare la democrazia, della cui passione la lotta di liberazione dal nazifascismo si alimentò.
La moderazione avvenne con la messa in campo delle forze centriste ma ideologicamente popolari (centriste senza essere elitarie) ovvero dai partiti che si ispiravano a valori cristiani, secondo un piano i cui pilastri Jacques Maritain aveva indicato già negli anni Trenta: neutralizzare le tentazioni dell’Illuminismo senza ricusare i diritti; ricostruire una leadership politica dalle macerie di due generazioni che si erano o intestate le tragedie nazifasciste o ne avevano in silenzio sopportato le conseguenze, preparandosi al “dopo”.
Stato e democrazia
Il compromesso tra l’élite meno compromessa, e comunque conservatrice dei vecchi regimi, e i dirigenti dei partiti che avevano guidato la liberazione in diversi paesi europei (tra i quali, l’Italia) aveva scongiurato quel che i ricostruttori della democrazia elettorale temevano massimamente: il contagio del modello comunista o radicalmente statalista.
Moderare fu il leitmotiv. La liberal-democrazia ebbe in questo un innegabile successo che la fine della Guerra fredda, nel 1989, sembrò suggellare. Limitati i radicalismi a destra come a sinistra, la democrazia ha ricostruito se stessa, con promesse sui diritti civili, benessere sociale diffuso, stabilità istituzionale (che non va confusa con i cambi delle maggioranze di governo).
Lo stato e la democrazia suggellarono l’alleanza. Oggi, quest’opera sembra scricchiolare. E la ragione sta a destra. La sinistra è stata assorbita dalla democrazia postbellica e moderata (i suoi leader divennero i maggiori difensori delle costituzioni e degli Stati democratici). Lo stesso non è avvenuto a destra.
La destra smoderata
Lasciamo le ragioni agli storici. Quel che qui interessa sottolineare è l’insuccesso del moderatismo a destra. Il fenomeno è visibile in molti paesi democratici. La destra che si smodera e la destra che non si modera – questo potrebbe essere il tema del libro che attende di essere scritto.
Negli Stati Uniti la smoderazione del partito repubblicano è così strabiliante da far temere per le sorti della stessa democrazia, se a novembre vincesse Donald Trump. Il quale ha dato l’addio al moderatismo e al conservatorismo in maniera ufficiale, sanzionando un percorso iniziato almeno dai tempi di Nixon.
Ecco i segni della smoderazione: il linguaggio guerresco, la demolizione degli avversari e dell’idea stessa di generalità del diritto e della legge, infine l’assalto allo stato (il Project 2025 dell’Heritage Foundation che J.D. Vance ha abbracciato) con il piano di sostituire i dirigenti degli uffici del governo federale e dei governi degli stati con proprio personale, fedele al partito.
Lo stato «che sta sopra le parti e non deve essere preda dei competitori politici» – la promessa sulla quale risiede la democrazia elettorale — è il nemico della destra immoderata. Una destra che si è dal Dopoguerra presentata come “conservatrice” e che ora non vuol più conservare.
Il caso italiano
Da un partito che si smodera a un partito che non si modera – ecco la destra italiana, che non ha mai conosciuto un processo di moderazione (il problema è esploso con la fine della Democrazia cristiana), e che potrebbe oggi avere l’opportunità di farlo. Ma non ne è capace.
Molti osservatori moderati e conservatori se lo augurano, proponendosi come consiglieri esterni della leader Meloni e del suo partito. Questi, hanno avuto diverse occasioni per farsi guidare al grande passo. Ma restano inchiodati dove sono.
Prendiamo l’occasione del 2 agosto, e la reazione sproporzionata di Meloni alle parole di Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari vittime della strage alla stazione di Bologna del 1980. Una presidende del Consiglio che reagisce alle parole di un cittadino in maniera estrema, ingiustificata; dimostrando di non saper comprendere la propria posizione dirigente, che non è quella del leader di un partito di opposizione.
Lo stato, della quale Meloni è alto rappresentante, viene da lei confuso con la sua parte, segno di un radicato risentimento per essere stata (la sua cultura, più che la sua parte) esclusa dall'arco costituzionale per 78 anni. Il risentimento è una passione invincibile dalla ragione, e resiste alla moderazione.
Uno dei problemi della democrazia contemporanea è dunque la mancanza di un partito conservatore moderato. Un fenomeno che, purtroppo per l’occidente, è generale: o perché la destra si smodera o perché non vuole moderarsi.
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