Mentre i cittadini vanno alle urne nei 27 stati membri, l'incertezza politica incombe sul continente. Per la prima volta, i partiti di estrema destra e anti establishment potrebbero ottenere circa il 20 per cento dei seggi nel Parlamento europeo. Gli stessi partiti governano – direttamente o indirettamente – in oltre una dozzina di stati. Tra questi, alcuni stati fondatori dell'Ue, come l'Italia e i Paesi Bassi, dove hanno acquisito nel tempo una rispettabilità senza precedenti. Lo stesso processo di normalizzazione non è ancora avvenuto in Europa, ma sembra destinato a verificarsi.

Geometrie variabili

Tuttavia, questo processo si svolgerà in modo diverso rispetto al livello nazionale, per via di alcune peculiarità strutturali e politiche dell'Ue.In primo luogo, il presidente della Commissione europea, che sarà nominato dai capi di stato e di governo riuniti in Consiglio, non è tenuto a formare una maggioranza politica chiaramente definita prima del voto del Parlamento.Allo stesso modo, non ci si aspetta dai venturi nuovi eletti che scelgano da che parte stare prima delle elezioni; e al di là delle richieste dei loro partiti, il loro voto avverrà a scrutinio segreto. Ciò spiega perché nel 2019 Ursula von der Leyen non sia riuscita ad assicurarsi il sostegno di tutti gli eurodeputati dei partiti tradizionali che la sostenevano, ottenendo invece i voti di quelli – come il Pis polacco – che non avrebbero dovuto appoggiarla. Di conseguenza, la prossima Commissione non potrà contare su una maggioranza permanente, ma su una a geometria variabile, che a sua volta definirà la scelta del candidato presidente.

Raggio di azione limitato

In secondo luogo, il Parlamento Ue non è né “europeo” né un vero e proprio Parlamento.Non è europeo nella misura in cui i suoi membri appartengono a partiti politici nazionali, non dell'Ue. Anche se i nuovi eletti possono aderire a gruppi politici dell'Ue, questi gruppi sono ideologicamente eterogenei e non possono garantire un sostegno politico stabile a un candidato presidente.Il Parlamento manca di iniziativa legislativa, che invece appartiene alla sola Commissione. Ciò significa che anche se i partiti di estrema destra saranno in grado di riunirsi in un unico gruppo – rispetto agli attuali due gruppi di Ecr e Id – esso non potrà determinare la direzione politica dell'Unione. L'estrema destra non sarà in grado di proporre leggi, ma solo di ritardare o bloccare le proposte della Commissione, che invece dovrebbe rimanere nelle mani dei partiti tradizionali. Per quanto riguarda la politica estera, il Parlamento ha ancora meno prerogative e quindi anche un ampio contingente di partiti di estrema destra non potrà fare la differenza.Queste caratteristiche strutturali dell'Ue sembrano limitare in larga misura la capacità dell'estrema destra, anche se si unirà, di ridefinire la direzione futura dell'Ue.Altri due fattori sembrano mettere in ombra la possibilità per l'estrema destra di prendere il comando nell'Ue.L'idea di unire i partiti di estrema destra in tutta l'Ue è un vecchio sogno, di cui Farage, Le Pen e Wilders sono stati pionieri oltre 20 anni fa.Ma non si è mai trasformato in realtà. Non solo questi partiti sono intrinsecamente incompatibili tra loro – si pensi alle loro posizioni opposte sulla Russia – ma anche il loro stesso orientamento nazionalistico impedisce loro di cooperare oltre confine.Ciò suggerisce che, nonostante la sua ondata storica, l'estrema destra non sarà in grado di dettare da sola le priorità dell'Ue, che rimarranno invece nelle mani dei partiti tradizionali.

Potenziale destabilizzatore

Tuttavia, se l'estrema destra non otterrà il controllo politico del progetto dell'Ue, di certo guadagnerà - grazie al suo numero record di seggi - una profonda influenza politica, potenzialmente destabilizzante. Per avere un assaggio di ciò che accadrà in seguito, basti pensare a ciò che già è accaduto negli ultimi mesi, quando la presidente di Commissione uscente, sentendo la pressione dei partiti di estrema destra dell'Ue e della protesta degli agricoltori, ha abbandonato quella che doveva essere la sua eredità, cioè il Green Deal. Lo ha fatto per riconquistare la fiducia del suo stesso partito, il Ppe, ma anche quella di molti liberali, come il Fdp tedesco o la formazione di Emmanuel Macron, che chiede una «pausa regolatoria sul clima». E prima von der Leyen ha anche trasformato la politica migratoria dell'Ue da questione umanitaria a problema di sicurezza, cooptando il progetto dell'estrema destra. Da questo punto di vista, queste elezioni sono destinate ad accelerare lo spostamento a destra e a portarlo a un livello ulteriore. In gioco non ci sono solo le ambizioni climatiche dell'Ue, ma anche la più ampia agenda tradizionalmente integrazionista dell'Ue.

L'allargamento dell'Unione, che è strettamente legato alla riforma istituzionale, rischia di essere rallentato o addirittura messo in pausa sotto l'influenza dell'estrema destra. Il prossimo bilancio a lungo termine dell'Ue, che sarà negoziato dal Parlamento europeo nel 2026, è destinato a ridursi, il che potrebbe creare un divario senza precedenti tra le aspettative dei cittadini nei confronti dell'Ue per affrontare le sfide più importanti e i mezzi che avrà a disposizione per farlo. Se andrà bene alle urne, l’estrema destra potrebbe quindi avere la possibilità di vanificare, rallentando o mettendo in pausa, l'agenda mainstream pro integrazione. Questa è la posta in gioco in queste elezioni: la conservazione o lo smantellamento del progetto dell'Ue.

Traduzione di Monica Fava

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