- Il primo a provare a digitalizzare la pubblica amministrazione è stato Lucio Stanca, ministro per l’Innovazione tecnologica nel secondo governo Berlusconi.
- L’esito del suo lavoro è nel Codice dell’amministrazione digitale, una legge del 2005 che avrebbe dovuto imporre alla pubblica amministrazione un radicale cambio di passo.
- Ma nonostante questa e altre leggi, e i molti ministri per la digitalizzazione nominati da tutti i governi successivi, la pubblica amministrazione continua a guardare con sospetto al digitale.
In principio fu Lucio Stanca, il “mr. I” del secondo governo Berlusconi, a provare a digitalizzare la pubblica amministrazione. Nominato ministro per l’Innovazione tecnologica nel 2001, Stanca, che veniva da una esperienza significativa in Ibm, ha provato a rivoluzionare la burocrazia con un linguaggio e degli obiettivi fino ad allora sconosciuti ai più.
L’esito di quel tentativo si legge nel Codice dell’amministrazione digitale, una legge del 2005 che avrebbe dovuto imporre alla pubblica amministrazione un radicale cambio di passo.
Ma nonostante questa e altre leggi, e i molti ministri per la digitalizzazione nominati da tutti i governi successivi, la pubblica amministrazione continua a guardare con sospetto al digitale. In ogni ministero, in ogni regione o altro ente pubblico, pur con qualche virtuosa eccezione, esistono stanze e stanze piene di archivi cartacei con personale addetto alla sua raccolta e vigilanza.
Faldoni e faldoni di fogli che nessuno osa buttare. Di contro, ovunque il protocollo dei documenti è divenuto informatico: e però, è prassi stampare l’atto protocollato e conservarlo in cartaceo perché al personale è stato insegnato che così si fa. “Carta canta”, d’altronde.
La vita quotidiana
Nel quotidiano le cose non sono poi così diverse. Facciamo qualche esempio. Vi nasce un figlio e la prima cosa che spetta al neo genitore è registrarlo all’anagrafe: se siete fortunati potete farlo direttamente in ospedale, altrimenti tocca andare fisicamente in comune.
In ogni caso da questo comincia il valzer delle carte: i neo genitori, infatti, devono recarsi fisicamente all’Agenzia delle entrate, presentare il certificato rilasciato dal comune, e farsi assegnare un codice fiscale per il nascituro. Con questo numeretto, rigorosamente stampato su carta intestata, ci si presenta alla Asl di zona e si chiede l’assegnazione del pediatra.
Altro esempio. Immaginate che abbiate parcheggiato in una pubblica via una vecchia auto o una moto non più funzionante e non abbiate rinnovato l’assicurazione. Dopo un controllo la polizia municipale, giustamente, vi sequestra il mezzo e lo consegna a un deposito. A quel punto inizia per il cittadino il giro delle sette carte: dapprima ci si presenta alla polizia, ci si dichiara trasgressori e si esprime la volontà (su un foglio di carta) di rottamare il mezzo.
A questo punto il cittadino deve recarsi all’Aci per stampare la visura del veicolo e poi in banca per versare una cauzione pari alla multa e farsi rilasciare una ricevuta cartacea. Con queste due carte, si torna al comando di polizia e si compila un modulo, cartaceo e in triplice copia (con la mitica carta carbone!), con cui si chiede al dirigente il dissequestro del veicolo per la rottamazione.
Il dirigente, autorizzando, firma un altro modulo con tanti timbri: a quel punto il cittadino va dove si trova il mezzo, consegna le carte firmate dai vigili e compila un ulteriore modulo. In cambio riceve un certificato cartaceo di avvenuta rottamazione e, dopo qualche settimana, un altro certificato cartaceo di avvenuta cancellazione dal Pra (Pubblico registro automobilistico ndr).
Con questi due pezzi di carta torna dai vigili, compila un ultimo modulo con cui chiede la restituzione di parte della cauzione e il gioco dell’oca è finito. Eppure basterebbe lo Spid e un click per fare tutto.
Il “processo telematico”
Che si tratti di un problema culturale lo conferma la finzione del “processo telematico”: a prescindere dagli obblighi di legge, gli avvocati sanno che devono consegnare al magistrato un fascicolo cartaceo con tutti i documenti, la così detta “copia di cortesia”.
La digitalizzazione non richiede altre norme ma investimenti rilevanti su tutti i funzionari pubblici. Per anni si è andati nella direzione opposta, imponendo di tagliare proprio le voci nei bilanci ministeriali su innovazione e formazione. La pandemia ha mostrato la follia di queste scelte e imposto un cambio di passo significativo; al tempo stesso ha fatto comprendere il valore del digitale e quanto questo sia fondamentale per migliorare la qualità della vita.
Il Pnrr ci consentirà di invertire la rotta da questo punto di vista. L’attuale ministro Vittorio Colao, va detto, si sta muovendo tanto e bene: basti pensare che, grazie al suo impegno e a quello dell’associazione Luca Coscioni, per la prima volta si possono firmare digitalmente le richiesta di referendum abrogativo, evitando di recarsi fisicamente in comune come avveniva fino a qualche giorno fa. È un piccolo passo ma significa che, quando si vuole cambiare il sistema, è possibile farlo.
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