Viviamo tempi in cui si perde spesso di vista l’efficacia dell’azione politica. La voglia di testimonianza, visibilità, azione simbolica prevalgono sulla lucidità strategica. Lo sciopero generale è stato accusato di essere politico – quasi che uno sciopero potesse essere impolitico, come ha  osservato su queste pagine Gianfranco Pasquino, pur notando che lo sciopero generale è una extrema ratio e che servono proposte incisive, non solo contarsi nelle piazze.

E, d’altra parte, come sottolinea Nadia Urbinati sempre qui, lo sciopero è un contrappeso per sua natura negativo al potere economico e politico del governo e dei datori di lavoro. Di scioperi ce ne sono molti, tanto che il governo ha avuto buon gioco nel sostenere che sono troppi (il che è assurdo) o sono di più sotto questo che sotto altri governi (il che è falso). Anche i contrappesi istituzionali possono scattare troppo spesso e impazzire.

Il rischio di un’inflazione del gesto, che lo riduce a mera testimonianza di purezza personale e induce assuefazione, talvolta fastidio, nell’opinione pubblica è stato paventato per le azioni degli attivisti climatici (anche da chi scrive). E gli autori e le autrici che hanno ritirato la loro partecipazione a Più libri più liberi sono stati accusati di narcisismo moralista sterile.

Il detonatore, qui, è Zerocalcare, che in un lungo post su Instagram ha comunicato di non sentirsela di partecipare a un evento con Chiara Valerio (pur andando al firmacopie dei suoi libri, sic!). Ma l’hanno fatto in tanti.

Impatto misurabile

Nel caso di Più libri più liberi il fatto che un numero alto di autori e autrici che avrebbero attirato un certo pubblico diserti una manifestazione a pagamento non può che avere un impatto. E questo doveva essere nella mente degli organizzatori della fiera, quando hanno fatto delle scuse invero tardive per l’invito a Leonardo Caffo (scuse non accompagnate da altri gesti tangibili, peraltro: concedere sale per eventi, non ben precisati, sulla violenza di genere, in una manifestazione con biglietto d’ingresso non è certo una soluzione, ma una toppa a fiori, come si dice).

Ciò prova che questo tipo di comportamento non è solo narcisismo, ma ha un impatto. Un impatto forse diverso rispetto alla situazione di Lucca Comics, in cui Zerocalcare si è comportato nella stessa maniera ma puntando a un obiettivo (la situazione in Israele) sicuramente non toccato dagli effetti della sua condotta (come ho scritto allora). In questo caso, l’aspirazione alla purezza, se pure c’è, ha effetti tangibili (pur mitigati dal compromesso di aver mantenuto il firmacopie).

Le giuste modalità 

Nel caso dello sciopero le cose non sono così limpide. Come detto, il rischio è di ridurre lo sciopero a un contarsi dentro il campo della sinistra. Cosa che è un’operazione lecita, ma meno importante rispetto a evitare con tutte le proprie forze una manovra inadeguata. E il rischio che gli scioperi continui alienino la causa dei lavoratori si dovrebbe sempre tenere in conto.

Lo sciopero per il ferimento di un ferroviere ha avuto molta eco ed è stato risparmiato dai mugugni, ma era improprio: le questioni di sicurezza non si risolvono con gli scioperi.

Gli scioperi di categorie di lavoratori che soffrono gli effetti di politiche liberiste sono sempre più accolti con insofferenza da altri lavoratori, che ne patiscono gli impatti, mentre datori di lavoro e privilegiati sfrecciano sulle loro auto o usano le potenzialità della rete per proseguire le loro attività lavorative. In questi casi, frantumare la solidarietà fra lavoratori fa l’interesse delle controparti datoriali.

E, tuttavia, lo sciopero rimane un mezzo essenziale per dare un potere ai lavoratori associati contro le loro controparti. Forse il problema è la frantumazione dei sindacati e dei lavoratori, più che lo sciopero generale in sé.

Considerazioni simili valgono per l’attivismo climatico. Avere un impatto sulle politiche climatiche e sugli interessi delle aziende che producono e commercializzano prodotti climalteranti è cosa complessa. Forse boicottare questi interessi, orientando diversamente i consumi può essere una via, almeno per chi non è obbligato a usare prodotti ad alto tasso di emissione.

In un mondo consumistico, scelte austere di consumo possono fare la differenza. La decrescita è il demonio, per certuni. E se la facessimo volontariamente? Ci possono obbligare al consumo? Campagne di boicottaggio potrebbero funzionare meglio che azioni simboliche?

Le azioni politiche debbono tenere conto dei contesti e delle tattiche migliori, senza mai essere pura testimonianza, mera procedura, anche se talvolta la testimonianza e la procedura hanno effetti tangibili. Non importa solo sentirsi nel giusto, esercitare la giusta critica del potere, ma anche e soprattutto ottenere giustizia.

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