- Il primo regalo al governo è L’attesa della povera gente, di Giorgio La Pira, del 1950.
- Per il sindaco di Firenze non c’è dubbio: lo Stato ha il compito istituzionale, organico, di «“piegarsi” urgentemente, amorosamente, organicamente» sulla povertà.
- Il secondo libro che regaliamo è La tirannia del merito, di Michael J. Sandel, filosofo ad Harvard. Consigliato anche a certa sinistra post-thatcheriana avvelenata dall’«ordine meritocratico secolare dei nostri giorni».
Ci teniamo a fare il nostro regalo per il nuovo anno al governo: un libro. Anzi, due. E visto che conosciamo i suoi gusti, gli regaliamo due testi di due autori sinceramente cristiani.
Il primo, di un cattolico di quelli da altare – di cui il cattolicesimo italiano sente oggi tanto la mancanza: L’attesa della povera gente, di Giorgio La Pira, uscito come saggio nel 1950 su Cronache sociali.
Per il sindaco di Firenze lo Stato ha il compito istituzionale, organico, di «“piegarsi” urgentemente, amorosamente, organicamente» sulla povertà.
La ricetta di La Pira forse piacerà, ad una prima lettura, a certa destra: promuovere la piena occupazione, principalmente con la leva della spesa pubblica.
Peccato che non è quello che finora il governo ha mostrato di avere in mente.
L’abolizione del reddito di cittadinanza, e le nuove condizioni restrittive per il tempo residuo, tentano di ottenere lo scopo – la piena occupazione – senza però favorirne la condizione essenziale: nuovo lavoro. Stanno insomma provando anche loro ad abolire la povertà, facendo finta che non esista.
Il secondo libro, invece, è di Michael J. Sandel, filosofo ad Harvard, e si intitola La tirannia del merito.
Il libro, peraltro, andrebbe regalato anche a certa opposizione, perché l’autore sa impietosamente svelare come anche la sinistra post-thatcheriana sia stata avvelenata dall’«ordine meritocratico secolare dei nostri giorni».
Quell’ordine che «moralizza il successo in modi che rimandano a una precedente fede provvidenzialistica: benché quanti hanno successo non debbano il proprio potere e la propria ricchezza all’intervento divino, il loro successo rispecchia la virtù superiore. Il ricco è ricco perché è più meritevole del povero».
E allora se sei povero, è perché te lo meriti. Luigino Bruni ci ha messo in guardia da questa ideologia proprio da questo giornale, qualche giorno fa, ricordandoci che convincerci che la povertà è colpa loro è lo strumento per abdicare ad ogni seria politica sociale.
Peraltro, la retorica del “povero pigro” che regge la messa in discussione di misure analoghe al reddito di cittadinanza è stata smentita da alcuni esperimenti sociali, e non ha dignità scientifica superiore al più becero dei luoghi comuni. (Lo spiega un articolo sulla rivista Il Mulino, Il reddito di cittadinanza, oltre la retorica del lazy poor, di Edmondo Mostacci).
Ai due libri vogliamo aggiungere anche un bigliettino. Anche qui scegliamo le parole di un autore cristiano, augurando al governo che il mistero del Natale da poco celebrato «disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti».
Sono gli «Auguri scomodi» di don Tonino Bello, e andrebbero letti per intero, da tutti.
Alla nostra destra auguriamo che questi giorni di festa siano disturbati dalle voci dei cinque milioni e 571 mila poveri che, secondo l’ultimo rapporto Caritas, ci sono in Italia. Un milione e 960 mila famiglie; il 9,4 per cento della popolazione residente. E si tratta di povertà assoluta: quella seria.
Senza reddito di cittadinanza, i numeri sarebbero stati ancora più alti. Caritas segnala che la misura ha raggiunto il 44 per cento dei poveri assoluti in Italia, e che il problema è come arrivare al restante 56 per cento: «Sarebbe quindi opportuno assicurarsi che fossero raggiunti tutti coloro che versano nelle condizioni peggiori». Ma il governo ha fatto una cosa più semplice: l’ha abolito per tutti. Buon 2023, allora.
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