- Il cosiddetto Superbonus 110 per cento, esteso anche alle seconde case e alle villette senza alcun vincolo Isee è profondamente sbagliato.
- Si tratta infatti di un provvedimento regressivo che trasferisce risorse pubbliche a favore dei cittadini relativamente più abbienti che detengono un patrimonio immobiliare.
- La misura è ancora più stridente se si considera che i cittadini più ricchi sono i maggiori responsabili delle emissioni di gas serra.
Le politiche pubbliche di sostegno alla transizione verde devono essere eque cioè non devono gravare sui cittadini più poveri. L’esempio dei Gilet Jeunes in Francia è paradigmatico: un taglio alle imposte per i francesi più benestanti è stato seguito da un aumento delle tasse sui carburanti, una manovra regressiva che ha portato a proteste. Per questo motivo, l’Unione europea ha predisposto politiche di “Just Transition” come parte del suo piano per azzerare le emissioni nette di gas serra entro il 2050. In un Paese come l’Italia, caratterizzato da molti tipi di disuguaglianza – reddito, ricchezza, Nord-Sud, intergenerazionale, genere – la politica economica ha il dovere di perseguire uno sviluppo sostenibile e inclusivo che riducale disparità sociali. A maggior ragione ora che, per la prima volta da molti anni, l’Italia dispone delle ingenti risorse europee per realizzare il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
In questo quadro, la scelta di prorogare il cosiddetto Superbonus 110 per cento erga omnes, estendendolo anche alle seconde case e alle villette senza alcun vincolo Isee (l’indicatore della situazione economica) è sbagliata. Si tratta di un provvedimento regressivo che trasferisce risorse pubbliche a favore dei cittadini relativamente più abbienti con patrimonio immobiliare.
Niente miracoli
La misura è ancora più stridente se si considera che i cittadini più ricchi sono i maggiori responsabili delle emissioni di gas serra. Uno studio recente mostra, infatti, che il 10 per cento più abbiente degli europei emette trenta tonnellate di gas serra per persona, il sestuplo del 50 per cento più povero della popolazione che si ferma a cinque tonnellate. Inoltre, la metà più povera della popolazione europea e americana è già in linea con gli obiettivi di riduzione delle emissioni del 2030, diversamente dal 50 per cento più ricco che dovrà tagliarle considerevolmente.
Perché dunque premiare con il Superbonus chi è ricco e inquina? Una possibile risposta è che questa misura non pregiudica la condizione economica dei cittadini relativamente più poveri, ma, al contrario, porta benefici indiretti perché stimola la crescita economica mentre riduce le emissioni di gas serra. Questo argomento è fallace per due motivi.
Il primo riguarda la scarsa efficacia del Superbonus come misura per promuovere l’efficienza energetica a fronte delle enormi risorse stanziate, che, secondo l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, ammontano a 18,5 miliardi. di euro tra Pnrr e Fondo Complementare, con una spesa complessiva di 30,8 miliardi tra il 2022 e il 2036.
Per ottenere il Superbonus, si richiede un miglioramento di due classi energetiche a prescindere da quella di partenza e sono ammesse spese inquinanti come le caldaie a gas. Il condominio dei genitori di chi scrive ha ottenuto il Superbonus semplicemente con un cappotto termico, senza installare alcun pannello solare a fronte di un tetto a terrazza e un’ottima esposizione solare.
Il secondo motivo contro un utilizzo esteso del Superbonus è macroeconomico. L’Italia può contare oggi sulle risorse del Pnrr, ma questa fonte non è perenne e deve essere impiegata al meglio, considerando i possibili usi alternativi dei fondi.
Dato l’ingente debito pubblico del nostro Paese, è necessario utilizzare le risorse europee per rilanciare la produttività che stagna da decenni e perseguire così una crescita verde duratura, compatibile con la sostenibilità delle finanze pubbliche.
Tale obiettivo non può essere conseguito con il Superbonus che affida all’edilizia, un settore a bassa innovazione e valore aggiunto, la crescita del secondo Paese più industrializzato d’Europa. Questa scelta è ancora più inspiegabile se si considera il clamoroso ritardo italiano accumulato nell’installazione di energia eolica e fotovoltaica (Germania e Paesi Bassi hanno una quota di energia solare superiore a quella italiana), che, oltre a ridurre efficacemente le emissioni di gas serra, può portare allo sviluppo di nuove tecnologie e settori in cui il nostro Paese già eccelle.
Purtroppo, l’assenza di una politica industriale verde riflette una mancanza di visione di sviluppo del paese della classe politica e del governo.
In assenza di un piano di crescita sostenibile guidato dalla produttività, si preferisce spendere le ingenti risorse del Pnrr in molteplici sussidi, tra cui il Superbonus. Certamente, questa è la via più veloce e sicura per ottemperare agli obblighi di spesa con l’Ue, ma si rischia di sprecare l’ultima occasione per trasformare l’Italia e ritornare a crescere riducendo le emissioni e la disuguaglianza.
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