- Giungono segnali inquietanti sulla vita intellettuale dei cattolici. In Europa e nel mondo occidentale, negli ultimi anni molti giornali, riviste e case editrici cattoliche hanno chiuso, dopo avere alimentato l’intelletto dei fedeli (e non solo) per generazioni.
- L’ultima, in ordine di tempo, è la notizia del fallimento e della chiusura delle Edizioni Dehoniane Bologna in Italia, editore di migliaia di titoli e anche della edizione italiana della Bible de Jerusalem.
- Questa crisi dell’editoria e della cultura cattolica dovrebbe preoccupare anche papa Francesco, i vertici vaticani e della chiesa italiana.
Giungono segnali inquietanti sulla vita intellettuale dei cattolici. In Europa e nel mondo occidentale, negli ultimi anni molti giornali, riviste e case editrici cattoliche hanno chiuso, dopo avere alimentato l’intelletto dei fedeli (e non solo) per generazioni, soprattutto durante il Concilio vaticano II e nei primi decenni del periodo post Vaticano II.
L’ultima, in ordine di tempo, è la notizia del fallimento e della chiusura delle Edizioni Dehoniane Bologna in Italia, editore di migliaia di titoli e anche della edizione italiana della Bible de Jerusalem, amata dai biblisti e dai cattolici italiani cresciuti alle scuole della parola di Dio in anni ormai lontani, quelli del cardinale di Milano, Carlo Maria Martini. Per la cultura cattolica italiana è la fine di un’èra, e il futuro appare molto problematico.
È un problema che va visto in parallelo alla mancanza di sostegno pubblico per la cultura italiana all’estero, al contrario di quello che fanno, per esempio, Francia e Germania. È una questione di geografia e relazioni internazionali nel cattolicesimo. Le culture cattoliche anglofona, ispanofona e francofona operano in un’area linguistica globale di eredità coloniale che l’Italia non possiede.
La cultura cattolica germanofona gode di uno spazio allargato (anche oltre i confini di Germania, Austria e Svizzera) nell’Europa centrale e orientale: in quello spazio la teologia e il sapere religioso hanno nelle università statali un ruolo che in Italia non ha in nessun modo (anche per scelte precise fatte dal Vaticano e i vescovi italiani durante il pontificato di Giovanni Paolo II).
È una crisi da cui non è indenne la Roma papale e capitale. Nella mia ultima visita ho perso il conto di quante librerie religiose hanno chiuso e probabilmente chiuderanno nella “città eterna”: non solo a causa dell’e-commerce, delle biblioteche digitali o della pandemia. Roma - la Curia romana, il mondo vaticano allargato delle accademie e istituti, le università pontificie e quel vasto mondo culturale religioso e non, i palazzi del potere politico nella diocesi del papa - era un tempo centro di produzione di idee, e di consumo di libri e riviste. Oggi non è più così, o almeno non nella stessa misura.
Crisi di autorità
È un cambiamento sostanziale nella cultura dei cattolici, che rivela la crisi di autorità della teologia del dialogo tra chiesa e mondo del Vaticano II: crisi nella chiesa come anche nella società di oggi. Nella chiesa di papa Francesco, il modello del “prete di strada” sembra aver sostituito quella del “prete erudito”. Ma nel cattolicesimo italiano i due modelli hanno spesso convissuto.
C’è oggi, da parte del laicato ma ancora di più degli ordini religiosi e del clero (con rare eccezioni), un’abdicazione alle responsabilità verso il proprio carisma e una storia di contributo intellettuale. Limitarsi ad amplificare la parola del papa non è sufficiente e può diventare un comodo alibi. «Più ignoranti non significa più santi», come ha scritto Gianfranco Brunelli, il direttore della rivista cattolica indipendente Il Regno, che nel 2015 reagì al tentativo di soppressione da parte dell’ordine dei Dehoniani (a cui la testata apparteneva) e che ha adottato un profilo di responsabilità laicale, cruciale per affrontare alcune questioni, come quella degli abusi sessuali.
Questa crisi dell’editoria e della cultura cattolica dovrebbe preoccupare anche papa Francesco, i vertici vaticani e della chiesa italiana. In questo mese si è aperto a livello mondiale per la chiesa cattolica il processo sinodale 2021-2023, il più grande momento di consultazione di tutti i cattolici nella storia, e certamente dagli anni del Vaticano II.
Cardinali e vescovi pongono l’accento su una “chiesa che ascolta”: ascolto di Dio nello Spirito santo, ascolto gli uni degli altri. Ma l’ascolto è, nella tradizione cristiana, legato alla lettura: della Bibbia, ma anche di ciò che è propizio all’ascolto della rivelazione di Dio nella storia e nella nostra vita, nei modi in cui Dio parla oggi. Il problema è che, rispetto al XVI secolo, esistono oggi nuove forme di analfabetismo e ignoranza che toccano la chiesa, e questo è un elemento chiave di contesto per comprendere le difficoltà del processo sinodale lanciato da papa Francesco.
La Riforma protestante e del Concilio di Trento (1545-1563) fu l’età dei libri a stampa, con un grande impatto sulla cultura e sui dibattiti religiosi. Il Concilio vaticano I (1869-1870) ebbe luogo nel periodo d’oro dei giornali e delle riviste di dibattito intellettuale. Il Concilio vaticano II (1962-1965) fu il primo concilio nell’età della televisione, del satellite e delle agenzie di stampa. Oggi, il processo sinodale 2021-2023 coincide con l’èra dei media digitali e dei social media, e con la crisi dell’editoria. C’è un analfabetismo digitale di molti nella gerontocrazia ecclesiastica, ma c’è anche un analfabetismo di ritorno in altre parti della chiesa. Come si dice in America, “laureato ma non alfabetizzato”: succede anche nelle scuole e università cattoliche che sfornano classe dirigente cattolica (clericale e laicale).
Depressione intellettuale
I cattolici leggono ancora di Bibbia, teologia, spiritualità? I docenti di scuole superiori e università sono ormai abituati al collasso del livello di alfabetizzazione degli studenti quando si tratta della capacità di leggere in modo critico, scrivere in modo intelligibile e orientarsi nel canone culturale richiesto non solo dal mondo del lavoro, ma anche dai diritti e doveri della cittadinanza.
Il mondo della teologia non fa eccezione da questo collasso. Negli ultimi anni si è visto nella chiesa un ritorno del devozionalismo (qualcosa di diverso dalle devozioni) a scapito del rigore intellettuale. Nei seminari per la formazione del clero negli Stati Uniti, l’enfasi sulla formazione umana di base e sugli screening psicologici, resi necessari dallo scandalo degli abusi sessuali ma anche dai disastrosi contesti familiari da cui provengono molti seminaristi, ha contribuito a deprimere ulteriormente il livello intellettuale.
Non è un problema che colpisce soltanto i seminaristi e il giovane clero. C’è anche un problema di ideologia diffusa in vasti settori della chiesa. Il consumo di contenuti forniti da blog e siti web religiosi ha nutrito un risentimento anti intellettuale, in cui postmodernità e neotradizionalismo si mescolano.
La “orgogliosa ignoranza” del neoprotestantesimo evangelical nordamericano non è sconosciuta nei circoli del cattolicesimo militante, dove la teologia del Vaticano II è additata ai seguaci come una svendita al secolarismo e al relativismo. Se si guardano i siti web preferiti da seminaristi, giovani sacerdoti e vari attivisti sulla scena ecclesiale, è facile capire perché l’editoria cattolica è in crisi, soprattutto per quel tipo di libri e riviste che si potrebbe chiamare “cattolicesimo conciliare” per quello che si definiva una volta “il laicato colto”.
Nel frattempo, però, sul versante neotradizionalista e anti Vaticano II dello spettro del cattolicesimo c’è un’energia (e una demografia, nei seminari e conventi) che i liberal-progressisti cattolici stanno ignorando a loro rischio e pericolo, o a cui non possono o non sanno rispondere. La crisi dell’editoria cattolica non è un problema solo per chi opera direttamente o indirettamente in quel settore o per chi ne fruisce come lettore.
Per chiunque intenda nutrire mente e anima, i libri non sono solo oggetti: sono emanazione di una personalità, possono essere buoni compagni e amici che scacciano momenti di solitudine e dolore. È un tipo di compagnia che una persona di fede non può trovare nei media digitali o sui social media.
L’anti intellettualismo cattolico militante è un disastro, ed è anticattolico senza saperlo. Il più importante documento della chiesa sull’ascolto e la lettura, la costituzione del Vaticano II Dei Verbum, offre una comprensione della fede che non è intellettualistica, ma rifiuta anche l’anti intellettualismo. L’abbandono alla fede non è cieco, ma include l’impegno verso una Parola che deve essere ascoltata e letta. L’etica della lettura non è solo una idea protestante, e il cristianesimo non è una religione del libro, nel senso che non è vincolato alla lettera. Ma leggere e interpretare la Scrittura è anche un processo intellettuale, e senza questo processo intellettuale non c’è tradizione della chiesa, dalla quale la Scrittura è emersa.
Francesco e la tradizione
Sembra esserci un disarmo di fronte alle grandi sfide culturali che la chiesa cattolica deve affrontare, ed è un disarmo che colpisce in modi diversi circoli ideologici diversi del cattolicesimo: nella fase attuale di globalizzazione delle cultural wars politico-religiose americane, alcuni “warriors” (anche in Italia) hanno capito prima e meglio della maggior parte dei progressisti che questo è il momento di investire nella cultura religiosa e teologica. Dipende quale cultura. Questa crisi del mondo intellettuale cattolico avrà un impatto sul pontificato di papa Francesco.
I cattolici che negli ultimi decenni hanno tenuto in vita la teologia del Vaticano II, e ora possono comprendere meglio il legame tra papa Francesco e la tradizione della chiesa, sono i cattolici che leggevano. Ma i membri di quella generazione di cattolici del Vaticano II sono andati o vanno in pensione, e vanno scomparendo. In curia romana e alla Cei si è ansiosi di sottolineare che la sinodalità non è un meccanismo politico, ma un processo spirituale.
Ma quel processo spirituale si basa su capacità culturali di base che apprendiamo dalle discipline umanistiche e dalle arti liberali. C’è contraddizione tra una chiesa che invita i cattolici all’ascolto e allo stesso tempo non comprende o non decide di investire, almeno simbolicamente, nella cultura. E si è visto quel poco o niente che ha lasciato nella chiesa italiana il “progetto culturale” lanciato dal cardinale Camillo Ruini a metà degli anni Novanta.
Nella cultura antica, ai tempi in cui si formò il canone biblico e per molti secoli a seguire, l’apprendimento avveniva attraverso l’ascolto. La cultura orale non aveva bisogno della capacità di leggere e della familiarità con l’atto della lettura. Fino all’età moderna, la cultura visiva è stata dominata dal contenuto religioso. Oggi, nell’ubiquità delle immagini nell’ubiquità dei mass media, l’arte non ha più il monopolio delle immagini, e ancora meno l’arte religiosa.
Oggi il non saper leggere e comprendere testi lunghi e complessi comporta qualcosa di molto diverso rispetto all’epoca in cui dominava l’analfabetismo e il messaggio religioso arrivava attraverso canali diversi. Non ci si aspetta da tutti i cattolici di essere topi di biblioteca o di possedere una biblioteca, in senso letterale o figurato.
Ma le aspettative devono essere più alte per i responsabili – clero e laici – della chiesa di oggi. «Chiesa capace di ascoltare» non significa solo ascoltarsi l’un l’altro o ascoltare lo Spirito Santo, ma anche ascoltare ciò che le culture religiose e laiche hanno da dire alla chiesa. L’assunto che i leader della chiesa possano permettersi di essere ignoranti è solo un’altra forma di clericalismo.
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