- Le varie proposte economico-finanziarie del passato hanno lasciato un segno negativo nei nostri partner europei.
- L’idea che si sono fatti all’estero della destra italiana è la mancanza assoluta di serietà.
- Nemmeno l’alleanza con Orban può aiutare: al contrario della nostra quelle destre sono frugali e per l’austerità.
Un governo Meloni-Salvini muterebbe oggettivamente il posizionamento internazionale dell’Italia, malgrado ciò che ne dicono gli interessati. Sull’Italia si stenderebbe un denso velo di diffidenza da parte dei nostri maggiori e tradizionali alleati: l’Ue e gli Usa.
Nelle relazioni internazionali quasi tutto dipende dalla reputazione, che è proprio ciò che manca alla destra italiana, soprattutto in materia economico-finanziaria. Ma non solo: i passati rapporti ambigui della Lega con la Russia hanno già scavato un fossato tra il nostro paese e il resto dell’occidente che conta, prima ancora che ci fosse la guerra di Ucraina. Anche i rapporti con la Cina sono guardati con sospetto.
C’è una prova concreta della sfiducia internazionale che circonda la destra italiana: il fatto che da quasi due anni si rimanda il cambio del segretario generale della Nato, che potrebbe spettarci per rotazione. Malgrado i tanti nomi proposti dalla destra, fino ad ora nessun candidato è piaciuto né agli americani né agli altri alleati. Il paradosso è che quando si riproporrà la questione, gli unici candidati possibili saranno di estrazione Pd, a meno che la posizione non interessi a Mario Draghi.
Orbán e Vox
I rapporti stretti da Fratelli d’Italia con Vox spagnola o con il premier Viktor Orbán non migliorano la situazione ma la peggiorano: l’idea che il maggior partito della destra italiana sia di stampo neofascista è radicata anche a causa di una certa semplificazione mediatica.
Ma questo per i nostri partner europei è solo un aspetto e nemmeno il più urgente: a loro interessa innanzi tutto la questione del bilancio statale e della spesa pubblica, cioè la gestione del debito italiano.
Su questo difendono i loro interessi: un’Italia che dovesse fallire dal punto di vista finanziario trascinerebbe tutti in basso. I nostri partner sono abituati a trattare con un certo establishment italiano di cui già si fidano mediamente. Della destra non si fidano per nulla e percepiscono che trasformerebbe il nostro paese in una minaccia: too big to fail.
Considerando l’Unione, la destra attuale spingerebbe l’Italia in un angolo: nemmeno i paesi di Visegrad potrebbero rappresentare un ambito di relazioni perché questi ultimi, oltre ad essere euroscettici o addirittura euronegazionisti, sono “frugali” in termini di politica di bilancio e non hanno debiti. Visegrad non avrebbe nessun guadagno a caricarsi un paese così indebitato, specialmente se retto da una maggioranza politica senza alcuna credibilità in termini economici. L’Italia di destra non potrebbe mai assomigliare nemmeno ad un‘Austria di Jorg Haider, campione dell’austerità.
La nostra destra differisce da quella dei paesi del nord Europa o dell’Europa orientale (compresa l’estrema destra) proprio su questo: austerità contro faciloneria italica. Questo a Bruxelles lo sanno tutti: la destra italiana è considerata la peggior “cicala” in circolazione in un mondo dominato dalle “formiche”. Basta ricordare le varie proposte economiche di questi decenni emerse da Forza Italia, dalla Lega e ora da Fratelli d’Italia: tutta roba di apprendisti stregoni come le storielle sul congelamento del debito (o far finta che non esista), la cartolarizzazione dei beni culturali, la produzione di banconotine nostrane (ricordate?) e altre amenità simili. Manca solo che proponga di passare alla criptomoneta!
Diffidenza per l’euro
In Europa è noto che la destra italiana non ama l’Euro (nemmeno Forza Italia): quando ci fu il governo gialloverde si temette l’italexit dalla moneta unica. È la medesima politica che proponeva nel 2017 Marine Le Pen in Francia (uscire dall’Euro ma non dall’Ue), ma che ora si guarda bene dal ripetere.
A rassicurare i nostri partner europei, la destra ha a disposizione solo Antonio Tajani grazie alla sua personale reputazione a Bruxelles, costruita con tenacia e senza l’aiuto del suo partito né degli alleati di coalizione. Per ciò che riguarda gli Stati Uniti le cose sono più articolate. Le relazioni tra Berlusconi e Bush erano calorose ma oggi a Washington ci si ricorda soprattutto della sua amicizia – mai smentita – con Vladimir Putin, divenuta una zavorra pericolosa.
È pur vero che Donald Trump continua a ripetere al suo pubblico che, se lui fosse stato al posto di Biden, la guerra in Ucraina non ci sarebbe stata. Le relazioni di Lega e Fratelli d’Italia con il trumpismo sono troppo recenti e, soprattutto, soffrono della fragilità comune a tutti i rapporti che Trump ha costruito: velleitarismo e volubilità. La caratteristica della politica di Trump è l’imprevedibilità e il poco rispetto per gli alleati.
Trump bada al sodo: cosa mi può portare tale relazione? In cosa mi avvantaggia? In questo l’Italia è strutturalmente debole, anche se di destra. L’unica altra personalità che ha costruito nel tempo una sua credibilità internazionale (Usa compresi) è Adolfo Urso, attuale presidente del Copasir, in possesso di una sua rete personali di contatti.
Va detto che gli americani richiedono ai propri alleati continue prove di lealtà: non basta affermarla una volta sola. L’amicizia storica che ha legato l’Italia repubblicana agli Stati Uniti è stata costruita passo passo durante la prima repubblica, su una coincidenza di comuni interessi.
Nel nuovo mondo post Guerra fredda l’Italia ha perso peso strategico non essendo più alla frontiera tra i due blocchi. Ciò – com’è noto – si è tradotto in un calo di influenza nei Balcani, nel Mediterraneo e in medio oriente – il nostro estero vicino – per non parlare dell’Africa subsahariana. Il nostro paese non si è ancora ripreso da tale “riduzione strategica”, come si è visto in Libia ad esempio, né si è dato quella libertà di manovra che oggi caratterizza le medie potenze nel quadro fluido della post globalizzazione.
Ciò non dipende dal colore dei nostri governi ma piuttosto da due elementi: il primo è l’incapacità dei governi tecnici a produrre una politica estera efficace; il secondo è l’assenza di continuità nell’alternanza destra-sinistra, tipica della seconda repubblica: tutto ricomincia sempre daccapo.
Non si è voluto creare un’idea bipartisan di presenza internazionale autorevole, fondata sull’interesse nazionale. Tale inettitudine ha reso il nostro paese irrilevante. Un governo centrato su Lega o Fratelli d’Italia non sarebbe in grado di ovviare a questa aporia strategica.
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