Un elemento pre-politico o, meglio super-politico accomuna l'elezione di Donald Trump negli Stati Uniti, la guerra di Gaza, la guerra in Ucraina. Un elemento che si chiama demografia, non una scienza esatta nel senso di immutabile perché condizionata da troppi fattori che possono cambiare anche in un lasso relativamente breve di tempo.

Partiamo da Trump. Il timore di un sorpasso etnico dell'insieme delle minoranze sulla maggioranza bianca fu considerato nel 2016, al tempo della sua prima vittoriosa corsa alla Casa Bianca, il motivo scatenante della sua sorprendente vittoria.

Il tycoon come l'ultima speranza dell'uomo bianco che vedeva minacciato il suo primato dal fatto che le altre comunità fanno più figli, sovvertendo il rapporto di forza. Naturalmente il presupposto a questa paura è che, in tempi di fine delle ideologie, le persone votino per appartenenza originaria. Cosa che non si è dimostrata vera nemmeno lo scorso 5 novembre, visto che il candidato repubblicano (o Maga, da “Make America Great Again”, il suo slogan diventato anche movimento personale) ha raccolto voti pure tra neri, ispanici, asiatici.

Bisognerebbe postulare la nascita di un partito dei non-bianchi, peraltro non alle viste, perché il “pericolo” si concretizzasse. Eppure esiste un sentimento profondo di inquietudine, soprattutto nell'America rurale, che alimenta le preoccupazioni per la crescita costante di persone con un diverso colore della pelle. E persino di una diversa origine. È curioso il fatto che nei censimenti i bianchi siano divisi in bianchi propriamente detti e in bianchi ispanici.

Allora, nel 2016, la data del sorpasso era stata indicata nel 2030. L'inerzia è stata più lenta e si è spostata al 2045: comunque dopodomani. L'ultimo dato disponibile, del 2020, racconta questa verità. I bianchi sono scesi al 57,8 per cento quando erano al 63,7 dieci anni prima. Gli ispanici sono al 18,7 per cento, raddoppiati in 30 anni, così come gli asiatici dal 3 al 6,1 per cento. I neri, stabili al 12,1. Sotto i 18 anni, il sorpasso c'è già stato: i non-bianchi sono al 52,7 per cento.

Le mappe piuttosto eloquenti mostrano l'irresistibile progressione degli ispanici nella fascia sud-ovest degli Stati Uniti. Il Texas, per esempio, Stato tradizionalmente repubblicano, conta il 39,7 per cento di bianchi contro il 39,3 di ispanici. È persino ovvio che siano queste cifre a orientare le decisioni politiche, soprattutto in materia di immigrazione, quando si teme la multietnicità o addirittura “l'invasione”. Se nascessero partiti etnici e in democrazia una testa è un voto, ecco (parzialmente) spiegato Trump.

Israele. È diventato proverbiale quanto successe la notte del 2003 quando Ariel Sharon trionfò alle elezioni. Mentre tutti stavano festeggiando, lui, chiuso nel suo studio convocò il demografo Sergio Della Pergola e il geografo Arnon Sofer, detto “il conta-arabi”, e chiese loro di portargli “le mappe”.

Scoprì che, con natalità costante, nel 2015 ci sarebbe stato il sorpasso degli palestinesi sugli ebrei nel territorio compreso tra il Mediterraneo e il fiume Giordano. Dunque doveva scegliere. Israele non sarebbe potuto essere nello stesso tempo “grande, ebreo e democratico”, come voleva uno slogan. Decise di rinunciare a “grande”.

Per questo pianificò il ritiro da Gaza del 2005 e annunciò analogo ritiro dalla Cisgiordania senza riuscire a portarlo a termine causa il malore che lo porterà alla morte. L'ossessione della demografia era precedente a Sharon e continua oggi. Tanto da favorire il massiccio arrivo in Israele di ebrei russi, anche se non matrilinei. Israele ha ora 9 milioni e mezzo di abitanti, di cui 7 milioni ebrei e circa due milioni palestinesi, a cui aggiungere i poco oltre cinque milioni di palestinesi tra Cisgiordania e Gaza (prima del 7 ottobre 2023).

Difficile far di conto esattamente in una situazione di guerra. Seppur di poco il sorpasso dovrebbe esserci stato, ma siamo in sostanziale parità. O si cacciano i palestinesi o Israele non potrà mai essere contemporaneamente “grande, democratico ed ebraico”.

Ucraina. Sono cronaca giornaliera gli arruolamenti forzati in Ucraina. Persone scovate per strada, nei locali, dovunque e mandata al fronte, per penuria di soldati. L'esercito è forte di circa 200 mila uomini. Secondo gli strateghi bellici servono tre militari invasori per ogni militare che difende il proprio Paese. La Russia supera abbondantemente la proporzione con un milione e mezzo di suoi figli in divisa. Del resto la Russia ha 143 milioni di abitanti contro i 37 milioni dell'Ucraina, in discesa per i milioni che sono rifugiati all'estero. Ed è davvero incredibile come Kiev sia riuscita sinora a resistere.

Conclusione: non è solo l'economia, è la demografia, bellezza.

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