- Il segretario Enrico Letta ha colto il segnale che viene dalla Germania, sottolineando che dalla crisi «si esce a sinistra». Ma che cosa implica più precisamente per il Pd seguire la lezione della Spd?
- Dietro il risultato della Spd si deve cogliere lo sforzo di più lunga lena di riposizionare il partito a sinistra, anzitutto a difesa dei gruppi sociali più deboli
- Le prospettive di ripresa si basano sulla messa a punto, già sperimentata nei paesi scandinavi, di una redistribuzione che non pesi sulla crescita.
I risultati delle amministrative e quelli del collegio di Siena, dove corre il segretario, possono segnare un passaggio importante per il Pd. Se saranno positivi, come ci si aspetta, si creeranno condizioni più favorevoli per il tentativo avviato da Enrico Letta di riposizionare l’offerta politica del Pd, offrendo una maggiore capacità di rappresentanza ai gruppi sociali più deboli e di contrasto delle accresciute disuguaglianze.
Qualche giorno fa lo stesso Letta ha colto il segnale interessante in questa direzione, non solo per il Pd ma per tutti i principali partiti di sinistra in Europa, che viene dalle elezioni tedesche, sottolineando che dalla crisi «si esce a sinistra». Ma che cosa implica più precisamente per il Pd seguire la lezione della Spd? Per percorrere la strada tedesca è necessario interpretare bene la lezione. Questo significa anzitutto non fermarsi a una lettura congiunturale dell’affermazione di Scholz.
È vero che l’immagine di competenza e professionalità, acquisita dal leader socialdemocratico come vicepresidente e ministro delle Finanze del governo guidato da Angela Merkel, ha influito molto sul risultato elettorale, specie a fronte della debolezza dei candidati degli altri partiti, e in particolare di quello della Cdu.
Tuttavia, dietro il risultato della Spd si deve cogliere lo sforzo di più lunga lena di riposizionare il partito a sinistra, anzitutto a difesa dei gruppi sociali più deboli (operai, nuovi salariati dei servizi con occupazioni precarie, disoccupati). Ciò non ha però ridotto la capacità di parlare alle nuove classi medie dei tecnici, degli addetti al settore socio-culturale, dei professionisti. Il voto operaio è tornato a crescere rispetto alle elezioni precedenti, che avevano visto consistenti uscite a favore della Linke e soprattutto dell’AfD, la formazione della nuova destra radicale. Allo stesso tempo, però, anche il voto delle classi medie dipendenti è cresciuto (votano in maggioranza per la Spd).
Rappresentare i più deboli
Si intravede dunque chiaramente una coalizione che tiene insieme le fasce più deboli e quote significative delle nuove classi medie attraverso un’offerta politica rinnovata.
Essa punta, da un lato, sul potenziamento delle relazioni industriali, non solo in funzione redistributiva (alti salari) ma anche come strumento di crescita della produttività. E dall’altro su una ricalibratura del welfare per far fronte a nuovi rischi e nuovi bisogni legati alla maggiore discontinuità e instabilità dei rapporti di lavoro e delle relazioni familiari, alla crescita dell’occupazione femminile e alle esigenze di formazione e riqualificazione.
Da qui l’obiettivo di potenziare i servizi sociali, dagli asili nido alle strutture per gli anziani. Una novità per un welfare che si è basato storicamente sui trasferimenti alle famiglie e sul ruolo di cura delle donne. Infine, particolare attenzione è data all’ambiente, alle politiche antidiscriminatorie e ai diritti civili. Insomma, il recupero della capacità di rappresentanza dei gruppi più deboli e la saldatura con la parte delle classi medie più aperta alla redistribuzione sperimenta una strada nuova. Non si fonda né su un radicalismo tradizionale e difensivo à la Corbyn, centrato sul vecchio intervento dello stato nell’economia, né sulle politiche deregolative influenzate dal neo-liberismo à la Schroeder, col suo Neue Mitte, duramente pagate dalla Spd sul piano elettorale con la perdita di quote consistenti delle classi più deboli.
Le prospettive di ripresa si basano sulla messa a punto, già sperimentata nei paesi scandinavi, di una redistribuzione che non pesi sulla crescita ma che anzi la sostenga e favorisca l’innovazione. La possibilità di ispirarsi alla lezione tedesca per rilanciare il Pd richiede dunque un recupero della capacità di rappresentanza dei gruppi più deboli, passati in misura consistente alle formazioni di protesta populiste, specie con il renzismo. È un compito di lunga lena che necessita di un impegno consistente e coerente sul piano della cultura politica e economica, e un rinnovamento profondo del personale politico. L’esempio tedesco suggerisce che questo passaggio, centrato sull’innovazione nel campo economico-sociale, non può essere sostituito da singole proposte, anche condivisibili, ma che restano sul piano della comunicazione mediatica contingente (come per esempio la tassa di successione), o si configurano prevalentemente come un’offerta liberal di politiche antidiscriminatorie (genere, orientamento sessuale, immigrati, ecc.).
La strada è dunque particolarmente ardua per il Pd, ma la lezione tedesca mostra che non è impercorribile.
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